IL RIFIUTO DI SOTTOPORSI A CURE MEDICHE PER MOTIVI RELIGIOSI

01.02.2022

Dott.ssa Veronica Marchiori

Sommario: 1. Premessa - 2. Il consenso informato - 3. Il rifiuto di sottoporsi a cure mediche per motivi religiosi - 4. Il dibattito giurisprudenziale - 5. La pronuncia della Corte di Cassazione del 2020 - 6. Considerazioni conclusive

Premessa

La vicenda oggetto della pronuncia in commento trae origine da una richiesta di risarcimento del danno e restituzione di quanto corrisposto per l'opera professionale, in relazione alle trasfusioni di sangue eseguite nonostante la contrarietà manifestata dall'attrice, Testimone di Geova, a seguito di emorragia conseguente a parto con taglio cesareo.

La questione afferente alle emotrasfusioni ai Testimoni di Geova è ormai annosa e affonda le proprie radici già nella Bibbia.

Come noto, infatti, per i Testimoni di Genoa accettare il sangue per salvare la vita equivale a rinnegare la fede e comporta, quale conseguenza, l'espulsione dalla congregazione e l'allontanamento anche dai propri familiari, con i quali vanno persi ogni tipo di rapporto, non solo religioso ma anche personale.

Il rifiuto si basa su una particolare lettura di alcuni brani delle Scritture: Gen. 9, 3-6[1]; Lev. 17, 11[2]; Atti 15, 28, 29[3] e, quindi, il divieto di assumere sangue costituisce precetto religioso per il Testimone di Geova[4].

Il dibattito ruota intorno al consenso informato, a come questo debba bilanciarsi, da un lato, con il diritto all'autodeterminazione ed alla libertà di religione e, dall'altro, con il diritto alla salute ed al dovere del medico di curare.

Ed infatti, come noto, ai sensi dell'art. 32 Cost. ognuno ha il diritto di non curarsi ma, nel bilanciamento tra salute e coscienza, per esimersi dalle cure, anche quelle salva vita, il consenso deve essere espressione di una volontà accertata.

Qualora, però, le condizioni del paziente sono talmente gravi da configurarsi il c.d. stato di necessità di stampo penalistico (art. 54 c.p.), l'intervento sanitario diviene obbligatorio, pure in assenza di consenso.

  • Il consenso informato

Uno dei punti cruciali della fattispecie sottesa è senz'altro il consenso informato, l'atto necessario che ogni paziente è tenuto a firmare prima di ogni operazione[5].

Scopo del consenso informato è sicuramente quello di informare e, soprattutto, documentare che al paziente siano state date le corrette comunicazioni in merito a quanto si sta per sottoporre, la procedura cui si sta sottoponendo, rischi e benefici[6].

Il consenso informato, per essere valido, deve rispettare i seguenti requisiti:

  • Deve essere personale: non è ammessa nessuna forma di rappresentanza, se non in caso di incapacità[7];
  • Deve essere esplicito, vale a dire espresso e univoco;
  • Deve essere autentico, univoco, libero e non condizionato, espressione di una scelta volontaria, reale e genuina;
  • Deve essere prestato a forma libera, non essendo richiesta per la sua validità una forma ad substantiam; salvo i casi stabiliti dalla legge (es. la legge prescrive che deve essere rilasciato per iscritto nel caso delle trasfusioni di sangue o dell'interruzione di gravidanza). Il modulo, infatti, svolge solo una funzione essenzialmente probatoria atteso che, più precisa e completa è la descrizione del trattamento chirurgico tanto maggiore è la certezza che il malato sia stato correttamente portato a fornire il suo assenso.
  • Deve essere sempre revocabile da parte del paziente. Questo è il senz'altro il requisito più problematico in quanto, se da un lato potrebbe essere facile interpretare la revoca prima dell'inizio della terapia, dall'altro lato è oltremodo complicato interpretare la validità della revoca durante la terapia stessa, per esempio la revoca potrebbe non essere frutto di libera determinazione del paziente ma potrebbe derivare da dolore. Durante la terapia, poi, potrebbe essere difficile se non impossibile interrompere la stessa, oppure l'interruzione potrebbe causare seri danni al paziente o esporlo a pericolo di vita. Ovviamente, non spetta al medico accertarsi della genuinità della revoca, egli deve sempre agire nell'interesse del paziente, proseguendo il trattamento senza commettere alcun illecito[8].

In particolare, le Disposizioni sul Consenso Informato relativo alle emotrasfusioni sono contenute nell'art. 4 del D.M. 1/9/1995 del Ministero della Sanità emanato per disciplinare la costituzione ed i compiti dei comitati per il buon uso del sangue.

Ai sensi della citata disposizione, infatti, "deve essere comunicata ai pazienti la possibilità di effettuare, quando indicata, l'autotrasfusione e deve essere richiesto il consenso informato alla trasfusione di sangue ed emocomponenti ed alla somministrazione di emoderivati. Il consenso è espresso mediante sottoscrizione di apposita dichiarazione conforme al testo allegato al presente decreto, da unire alla cartella clinica. Se il paziente è un minore, il consenso deve essere rilasciato da entrambi i genitori o dall'eventuale tutore. In caso di disaccordo tra i genitori, il consenso va richiesto al giudice tutelare. Quando vi sia un pericolo imminente di vita, il medico può procedere a trasfusione di sangue anche senza il consenso del paziente. Devono essere indicate nella cartella clinica, in modo particolareggiato, le condizioni che determinano tale stato di necessità. Nei casi che comportano trattamenti trasfusionali ripetuti, il consenso si presume formulato per tutta la durata della terapia, salvo esplicita revoca da parte del paziente[9]".

Secondo questa disposizione, dunque, sebbene sia necessario il consenso del paziente per la somministrazione di emotrasfusione, tale fatto non è necessario in caso di pericolo imminente di vita, condizione che permette al personale sanitario di procedere sine consensus alla trasfusione.

  • Il rifiuto di sottoporsi a cure mediche per motivi religiosi

La dottrina oggi dominante riconosce il diritto di ogni soggetto di rifiutare le cure e di lasciarsi morire e il correlativo obbligo per il medico di rispettare la volontà del malato, anche quando dalle sue scelte possa derivare la morte: il che implica una disponibilità sia del bene salute che della vita[10].

Il rifiuto di sottoporsi a determinate cure mediche, per motivi religiosi o di altra natura, anche laddove può portare all'evento morte, è, dunque, espressione di un diritto costituzionale.

E ancora, il rifiuto delle emotrasfusioni quando deriva da motivi religiosi non costituisce il mero esercizio del diritto di autodeterminazione sanitaria ma è una vera e propria forma di obiezione di coscienza, radicata in ragioni religiose, per cui non si tratta di rispettare solo il corpo della persona nella sua fisicità, ma di rispettare la persona umana nella sua interezza, ossia nei suoi valori morali, etici e religiosi.

Anche la Corte europea dei diritti dell'uomo, con una storica pronuncia del 2010, ha affermato che "il rifiuto di trasfusioni di sangue è espressione del libero arbitrio dei singoli membri della comunità che esercitano il proprio diritto all'autodeterminazione nella sfera dell'assistenza sanitaria tutelata ai sensi della Convenzione[11]".

  • Il dibattito giurisprudenziale

In via preliminare, corre l'obbligo di precisare che il dibattito giurisprudenziale giammai è stato intorno al diritto o meno di rifiutare le emotrasfusioni; è infatti noto che i Testimoni di Genoa non acconsentono alla trasfusione nemmeno in pericolo di vita per motivi religiosi e questo diritto è garantito[12].

Invero, il dibattito è sempre stato intorno al consenso informato, quando viene prestato il consenso o il dissenso?

Il dissenso alle cure mediche, per essere valido ed esonerare così il medico dal potere-dovere di intervenire, deve essere espresso, inequivoco ed attuale: non è sufficiente, dunque, una generica manifestazione di dissenso formulata ex ante ed in un momento in cui il paziente non era in pericolo di vita, ma è necessario che il dissenso sia manifestato ex post, ovvero dopo che il paziente sia stato pienamente informato sulla gravità della propria situazione e sui rischi derivanti dal rifiuto delle cure[13].

Già prima era stato affermato che in materia di rifiuto di determinate terapie, alla stregua di un diritto fondato sul combinato disposto dell'art. 32 Cost., della L. 28 marzo 2001, n. 145, art. 9[14], e art. 40 codice di deontologia medica, pur in presenza di un espresso rifiuto preventivo, non può escludersi che il medico, di fronte ad un peggioramento imprevisto ed imprevedibile delle condizioni del paziente e nel concorso di circostanze impeditive della verifica effettiva della persistenza di tale dissenso, possa ritenere certo od altamente probabile che esso non sia più valido e praticare, conseguentemente, la terapia già rifiutata, ove la stessa sia indispensabile per salvare la vita del paziente[15].

Con specifico riferimento ai Testimoni di Genoa vi è sempre stata continuità della giurisprudenza di legittimità nello statuire che esiste un collegamento tra diritto di rifiutare il trattamento sanitario e l'art. 19 Cost.

E in particolare, con sentenza n. 14158 del 7 giugno 2017, con riferimento a un paziente incosciente, la Corte aveva riconosciuto il potere di rifiutare le emotrasfusioni in capo al suo amministratore di sostegno, in conformità alla precedente volontà espressa dal soggetto.

Stesso potere è stato riconosciuto successivamente, con sentenza n. 12998 del 15 maggio 2019, in un caso simile.

Con sentenza n. 515 del 15 gennaio 2020 la Corte, richiamati gli artt. 2, 13, 19 e 32 Cost. e gli artt. 8, 9 e 14 Cedu, ha concluso statuendo che "è sufficiente ribadire che la natura del diritto esercitato, cioè il rifiuto dell'emotrasfusione, ha acquistato una tale rilevanza anche nella coscienza sociale da non ammettere limitazioni di sorta al suo esercizio".

Tutta la giurisprudenza sul punto è stata poi cristallizzata nella legge n. 219/2017 vale a dire la normativa nazionale sul consenso informato e disposizioni anticipate di trattamento (c.d. DAT o comunemente note come testamento biologico o biotestamento) secondo la quale il medico è tenuto a rispettare le indicazioni del paziente e viene liberato da responsabilità se il paziente rinuncia a ricevere un trattamento sanitario; lo stesso medico è esentato da obblighi professionali nel caso in cui il paziente richieda un trattamento contrario alle pratiche clinico-assistenziali o alla deontologia professionale.

Il principio appare chiaro: il medico deve informare correttamente e compiutamente il paziente, in modo che questi possa esprimere una scelta consapevole e ponderata; fatta questa scelta, il medico la deve rispettare.

  • La pronuncia della Corte di Cassazione del 2020

Nel caso che ci occupa che, giova ribadire, trae origine da una richiesta di risarcimento danni e restituzione del pagamento effettuato per una trasfusione rifiutata, in primo e secondo grado la domanda dell'attrice ha avuto esito negativo.

Durante l'istruttoria era stata richiesta una consulenza tecnica di ufficio ed erano state assunte diverse testimonianze.

In particolare, la CTU aveva concluso per l'indispensabilità dell'emotrasfusione mentre dalle testimonianze era emerso il rifiuto della paziente a riceverla.

La paziente, Testimone di Geova, proponeva quindi ricorso per Cassazione sulla base di quattro motivi.

E più dettagliatamente.

Con il primo motivo parte ricorrente denunciava la violazione e falsa applicazione dell'art. 111 Cost., artt. 115,116 e 132 c.p.c., art. 6 Cedu, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 5 per non avere la Corte d'Appello motivato in merito alle testimonianze assunte. In particolare, la Corte aveva dichiarato espressamente "non necessario" valutarne l'attendibilità, per avere deciso di basare la decisione solo sulla dichiarazione di rifiuto del giorno precedente le trasfusioni, considerandolo preventivo e non attuale.

Con il secondo motivo la ricorrente denunciava la violazione e falsa applicazione degli artt. 2,3,13,19 e 32 Cost., L. n. 180 del 1978, art. 1 L. n. 833 del 1978, art. 33, artt. 3, 8 e 9 Cedu, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 per erronea qualificazione del fatto dal momento che il rifiuto preventivo riguarda i pazienti incapaci o incoscienti, mentre la paziente era cosciente e mentalmente capace al momento del rifiuto, sicché si trattava di un dissenso espresso ed attuale.

Con il terzo motivo si denunciava violazione e falsa applicazione del D.M. Salute 3 marzo 2005, art. 13, L. n. 180 del 1978, art. 1, L. n. 833 del 1978, artt. 4 e 33, art. 2697 c.c., art. 32 Codice deontologico dei medici, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 perché il consenso prestato all'intervento di laparotomia esplorativa non può essere considerato come implicito consenso prestato alla trasfusione, non essendo configurabile un consenso presunto o per facta concludentia, come affermato da Cass. n. 20984 del 2012 e Cass. n. 19212 del 2015. Affermava parte ricorrente che la laparotomia esplorativa (intervento assentito dalla paziente) e le trasfusioni di sangue (trattamento rifiutato) sono trattamenti distinti, che richiedono consensi separati, posto che la trasfusione di sangue comporta l'assunzione di specifici rischi, tant'è che il D.M. Salute 3 marzo 2005 prescrive il consenso scritto per le trasfusioni di sangue da parte di un paziente cosciente.

La Corte ha considerato fondati i primi tre motivi di ricorso ed ha ritenuto assorbito il quarto e, dunque, ha accolto il ricorso.

Prima di ogni analisi in merito al ragionamento logico -giuridico effettuato dalla Corte, va evidenziato, come preliminarmente affermato dagli stessi ermellini, che la legge sul consenso informato e l'introduzione delle disposizioni anticipate di trattamento (c.d. DAT) n. 2019/2017[16] non trova applicazione giacché non ancora in vigore all'epoca dei fatti sicché la risoluzione della fattispecie sottesa non può che essere affidata ai principi costituzionali.

Secondo la Corte, i diritti fatti valere in giudizio e su cui si deve ragionare sono il diritto di autodeterminazione con riferimento al trattamento sanitario e la libertà di manifestazione del proprio credo religioso.

Con riferimento al primo, la Corte si allinea ai propri precedenti[17] affermando che la manifestazione del consenso del paziente alla prestazione sanitaria costituisce esercizio del diritto fondamentale all'autodeterminazione in ordine al trattamento medico propostogli e, in quanto diritto autonomo e distinto dal diritto alla salute, trova fondamento diretto nei principi degli artt. 2,13 Cost. e art. 32 Cost., comma 2.

Così argomentando, la sentenza si allinea anche alla giurisprudenza costituzionale secondo cui: "il consenso informato, inteso quale espressione della consapevole adesione al trattamento sanitario proposto dal medico, si configura quale vero e proprio diritto della persona e trova fondamento nei principi espressi nell'art. 2 Cost., che ne tutela e promuove i diritti fondamentali, e negli artt. 13 e 32 Cost., i quali stabiliscono, rispettivamente, che la libertà personale è inviolabile, e che nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge[18]".

Anche con riferimento alla libertà religiosa la Corte si pone in linea alla precedente giurisprudenza in merito ribadendo che la libertà religiosa garantita dall'art. 19 della Carta costituzionale è un diritto inviolabile tutelato "al massimo grado". Viepiù, il fatto che l'ordinamento italiano sia un ordinamento laico significa che lo stesso tutela il pluralismo religioso, sostenendo la libertà di tutti, secondo criteri di imparzialità[19].

  • Considerazioni conclusive

Muovendo dalle richiamate considerazioni il Collegio ha ribadito che il rifiuto all'emotrasfusione è espressione sia del diritto di autodeterminazione che di quello alla libertà religiosa e, così statuendo, si è posta in continuità con il suo pregresso orientamento. In definitiva la Corte ha considerato questi due diritti all'unisono, insieme, come un' "osmosi di principi costituzionali" che non incontra principi costituzionali di segno opposto i quali impongano una forma di bilanciamento.

Il ricorso è stato, quindi, accolto e la sentenza cassata con rinvio alla Corte di Appello in diversa composizione per statuire in merito alle spese.

Con riferimento alle circostanze fattuali del caso, la regola di giudizio che si può dedurre dall'identificata osmosi di principi costituzionali è che il Testimone di Geova ha diritto di rifiutare l'emotrasfusione.

Va in conclusione enunciato il seguente principio di diritto: "il Testimone di Geova, che fa valere il diritto di autodeterminazione in materia di trattamento sanitario a tutela della libertà di professare la propria fede religiosa, ha il diritto di rifiutare l'emotrasfusione pur avendo prestato il consenso al diverso trattamento che abbia successivamente richiesto la trasfusione, anche con dichiarazione formulata prima del trattamento medesimo, purché dalla stessa emerga in modo inequivoco la volontà di impedire la trasfusione anche in ipotesi di pericolo di vita".

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[1] Ogni animale che si muove ed è in vita vi serva di cibo. Come nel caso della verde vegetazione vi do in effetti tutto questo. Solo non dovete mangiare la carne con la sua anima, il suo sangue. E, oltre a ciò, richiederò il sangue delle vostre anime. Lo richiederò dalla mano di ogni creatura vivente, e dalla mano dell'uomo, dalla mano di ciascuno che gli è fratello, richiederò l'anima dell'uomo. Chiunque sparge il sangue dell'uomo, il suo proprio sangue sarà sparso dall'uomo, poiché a immagine di Dio egli ha fatto l'uomo.

[2] E qualcuno della casa d'Israele o degli stranieri che risiedono fra di voi mangia di qualsiasi genere di sangue, io volgerò la mia faccia contro quel tale che mangia del sangue e lo sterminerò di mezzo al suo popolo.

[3] Infatti, è parso bene allo Spirito Santo e a noi di non imporvi alcun altro peso all'infuori di queste cose necessarie: che vi asteniate dalle cose sacrificate agli idoli, dal sangue, dalle cose soffocate e dalla fornicazione; farete bene a guardarvi da queste cose.

[4] Cass. n. 4211 del 2007

[5] DASSANO, Il consenso informato al trattamento terapeutico tra valori costituzionali, tipicità del fatto di reato e limiti scriminanti, in Studi in onore di Marcello Gallo. Scritti degli allievi, Torino, 2004

[6] CANESTRARI (a cura di), Reati contro la vita e l'incolumità individuale, in Reati contro la persona, UTET, 2006, p. 654

[7] Nei confronti del soggetto incapace la liceità dell'attività medica può ricondursi al più ampio dovere di solidarietà sociale espresso dall'art. 2 Cost. e dalla indiscussa posizione di garanzia che il medico assume in relazione alla salute della persona assistita.

[8] BILANCETTI, La responsabilità civile e penale del medico, Padova, 2001

[9] https://www.fnopi.it/wp-content/uploads/DM010995comit.pdf

[10] F. ANTOLISEI, Manuale di diritto penale, parte speciale, Giuffrè, 2016; G. FIANDACA -E. MUSCO, Diritto penale parte speciale. I delitti contro la persona, Zanichelli, 2020

[11] Testimoni di Geova di Mosca e Altri c. Russia, N. 302/02, Corte EDU (Prima Sezione), 10 giugno 2010. La pronuncia trae origine dallo scioglimento, da parte delle autorità nazionali, della sezione di Mosca dei Testimoni di Geova e dall'imposizione di un divieto permanente per le sue attività ritenendo che tale comunità avesse intrapreso un'opera di coercizione, attirato dei minori all'interno dell'organizzazione o incoraggiato al suicidio, violato il diritto dei propri membri al rispetto della loro vita privata, leso i diritti dei genitori non appartenenti alla comunità, indotto i membri di quest'ultima a rifiutare trasfusioni di sangue e averli persuasi a non adempiere ai propri doveri civili. Secondo la Corte europea, nel caso di specie lo scioglimento della comunità ricorrente e la messa al bando delle sue attività integra una violazione dell'articolo 9 alla luce dell'articolo 11 della Convenzione. La Corte ha inoltre stabilito all'unanimità che il rifiuto di registrare la comunità religiosa ricorrente da parte delle autorità russe costituisce una violazione dell'articolo 11 alla luce dell'articolo 9 della Convenzione.

[12] AA.VV., G. Cassano (a cura di), La nuova responsabilità medica, Maggioli editore, 2020

[13] Cass. 15 settembre 2008, n. 23676

[14] ratifica ed esecuzione della Convenzione del Consiglio d'Europa per la protezione dei diritti dell'uomo e della dignità dell'essere umano riguardo all'applicazione della biologia e della medicina

[15] Cass. 23 febbraio 2007, n. 4211

[16] Legge 22 dicembre 2017 n. 219 contenente "Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento" ed entrata in vigore il 31 gennaio 2018.

[17] Cass. 11 novembre 2019, n. 28985

[18] Corte Cost. 23 dicembre 2008, n. 438

[19] Corte Cost. 5 dicembre 2019, n. 254