IL COMODATO CON VINCOLO DI DESTINAZIONE
Dott.ssa Deborah Di Carlo
La separazione dei coniugi implica la necessaria restituzione di un immobile concesso a questi in costanza di matrimonio?
La risposta al quesito si cela nell'analisi dell'istituto del comodato e della finalità per cui è stato disposto.
Ad esempio, Tizio e Caia, genitori di Mevio, durante il matrimonio del figlio dichiarano di concedere un loro immobile in comodato alla giovane coppia, affinché vi stabiliscano la loro vita familiare. Dopo alcuni anni Mevio e Sempronia si separano e con provvedimento giudiziale il giudice dispone in favore di Sempronia l'affidamento del figlio minore e la conseguente assegnazione della casa familiare. Tizio e Caia con atto di citazione avverso Sempronia chiedono la restituzione dell'immobile, fondando la loro pretesa sull'applicazione dell'art. 1810 cc "comodato senza determinazione di durata" e in subordine, pur a voler ritenere il comodato "a termine", chiedono la restituzione dell'immobile in base all'art. 1809, co. 2, cc, in particolare sull'urgente e imprevisto bisogno della loro secondogenita di lasciare l'alloggio popolare in virtù di una casa più decorosa.
Proviamo a comprendere gli strumenti a tutela della posizione della convenuta, Sempronia
Posta la piena validità del contratto di locazione con il quale i genitori di Mevio hanno concesso l'immobile al figlio e alla moglie Sempronia, al fine di destinarlo a casa familiare, occorre evidenziare le eventuali conseguenze in caso di separazione dei coniugi.
Il coniuge affidatario della prole minorenne (o maggiorenne autosufficiente), assegnatario della casa familiare, può opporre al comodante, che chieda il rilascio dell'immobile, l'esistenza di un provvedimento di assegnazione, pronunciato in un giudizio di separazione o divorzio. Ciò è possibile, ove, come nel caso di specie, tra il comodante e i coniugi, il contratto sorto in precedenza abbia contemplato la destinazione del bene a casa familiare. Ne consegue che, in tale evenienza, il rapporto (riconducibile al tipo regolato dagli artt. 1803 e 1809 cc) sorge per un determinato uso; in tal modo ha - in assenza di una espressa indicazione della scadenza - una durata determinabile per relationem, con applicazione delle regole che disciplinano la destinazione della casa familiare. Dunque, indipendentemente dall'insorgere di una crisi coniugale, il rapporto è destinato a persistere o a venir meno con la sopravvenienza o il dissolversi delle necessità familiari (come quelle relative ai figli minori) che avevano legittimato l'assegnazione dell'immobile (Cass. SSUU n. 20448/2014).
Il coniuge separato, convivente con la prole minorenne e assegnatario dell'abitazione già attribuita in comodato, ha uno specifico onere probatorio. Infatti quando oppone alla richiesta di rilascio dell'immobile, l'esistenza della destinazione a casa familiare deve provare che tale era la pattuizione attributiva del diritto personale di godimento. Invece il soggetto che invoca la cessazione del comodato ha l'onere di dimostrare il sopraggiungere del termine fissato per relationem e, dunque, l'avvenuto dissolversi delle esigenze connesse all'uso familiare.
Nel caso di specie Sempronia non avrebbe alcuna difficoltà a dimostrare che il fine del comodato è stato, sin dall'inizio, l'uso a casa familiare. Del resto gli stessi comodanti annunciarono pubblicamente il loro chiaro intento di concedere l'immobile in comodato per il suddetto utilizzo, proprio durante il banchetto nuziale di Mevio e Sempronia nel 2014.
Quando un bene immobile, concesso in comodato, sia destinato a casa familiare (come in questo caso), il successivo provvedimento di assegnazione da parte del giudice in sede di separazione o divorzio, non modifica né la natura, né il contenuto del titolo di godimento dell'immobile. Ciò comporta che gli effetti riconducibili al provvedimento giudiziale (che ha escluso uno dei coniugi dal godimento del bene) restano regolati dalla stessa disciplina già vigente nella fase fisiologica della vita matrimoniale. Inoltre, nell'ipotesi del caso di specie il comodato è stato stipulato senza limiti di durata e versa, pertanto, nella fattispecie del comodato a tempo indeterminato. Tale tipologia è caratterizzata dalla non prevedibilità del momento in cui verrà meno la destinazione del bene. In tal caso, per effetto della concorde volontà delle parti, si è impresso all'immobile un vincolo di destinazione legato alle esigenze abitative familiari (perciò non solo e non tanto a titolo personale del comodatario). Un simile vincolo è idoneo a conferire all'uso - cui la casa deve essere destinata- il carattere implicito della durata del rapporto. Ciò accade a prescindere dall'eventuale crisi coniugale e senza la possibilità che la cessazione del vincolo dipenda esclusivamente dalla volontà ad nutum del comodante, salva la facoltà di quest'ultimo di chiedere la restituzione nelle ipotesi dell'art. 1809, co. 2, cc.
Alla luce di quanto sopra è possibile, quindi, affermare che il comodato stipulato tra le parti sia a tempo indeterminato e volto sin dall'origine ad uso abitativo e familiare. Inoltre, l'intervenuta situazione di separazione dei coniugi e il successivo provvedimento giudiziale non hanno intaccato la natura del contratto e la sua finalità primaria, anche e soprattutto in virtù del fatto che il comodato di specie non è legato all'esigenza e alla situazione del singolo comodatario, bensì alle esigenze familiari (legate alla tutela del minore, Caietto). In virtù di tale logica la Sig.ra Sempronia ha il diritto di continuare a godere dell'immobile.
Per quanto riguarda, invece, la pretesa attorea fondata sull'ipotesi di qualificazione del comodato come "a termine".
Nel caso in esame le parti hanno vincolato il comodato al solo utilizzo, ovvero alle esigenze familiari. Il fatto che non sia stato convenuto un termine permette di affermare che si tratti di comodato a tempo indeterminato. Se, invece, l'immobile fosse stato concesso in comodato per tutta la vita del comodatario, si sarebbe trattato di un comodato a termine. D'altro canto, però, la circostanza che le parti, pur non prevedendo un termine per la restituzione del bene, abbiano vincolato l'efficacia del contratto al venir meno della sua utilizzazione in concomitanza con la cessazione dell'attività del comodatario, non implica automaticamente la qualificazione del rapporto alla stregua di comodato senza determinazione di durata (con conseguente potere di recesso ad nutum del comodante ex art. 1810 cc). Infatti spetterà al giudice di merito il compito di verificare se l'assetto di interessi individuato dalle parti non sia riconducibile ad un contratto atipico, meritevole di tutela ai sensi dell'art. 1322 cc., avente ad oggetto la regolamentazione del potere di pretendere la restituzione del bene, in modo che il comodante possa esercitarlo non ad nutum, bensì unicamente al ricorrere delle condizioni convenute dalle parti (Cass, Sez. III, n. 9796/2019).
Inoltre nel caso di specie, i comodanti pretendono la restituzione sulla base di un'urgente e imprevisto bisogno. Il bisogno che eventualmente può giustificare tale restituzione deve essere imprevisto (sopravvenuto alla stipula del contratto di comodato) e urgente senza che rilevino bisogni non attuali, non concreti. Il bisogno, inoltre, deve essere serio, non voluttuario (Cass., Sez. III, n. 6323/2019). I fatti riportati in atti, inerenti alla secondogenita dei comodanti, oltre a non essere strettamente personali (legati a dirette esigenze dei comodanti), non forniscono neppure elementi sufficienti a ritenere sussistente il bisogno imprevisto e urgente richiesto dalla norma. Quindi neppure questo secondo motivo è sufficiente a sostenere la pretesa attorea.
In conclusione Sempronia è pienamente legittimata ad occupare e continuare a godere dell'immobile in virtù delle attuali esigenze familiari.