I RAPPORTI TRA IL REATO DI USURA E IL REATO DI ESTORSIONE

01.01.2021

Dott.ssa Deborah Di Carlo

Tizio, piccolo imprenditore in difficoltà economica, chiede un prestito di €100.000.00 al ricco benestante Caio che impone sul prestito un interesse del 7,5%. Dopo le prime rate mensili, Tizio si rifiuta di continuare il pagamento. Così Caio manda suo nipote Sempronio a casa di Tizio per intimarlo ad effettuare il pagamento.

Una simile situazione impone l'analisi delle condotte di Sempronio e Caio che sembrano inquadrarsi rispettivamente nell'ipotesi dell'art. 629 cp "estorsione" e dell'art. 644 cp "usura".

In particolare, Sempronio riceveva da Caio, suo zio e ricco benestante, l'ordine di intervenire con la forza nei confronti di Tizio, affinché riscuotesse la rata mensile (comprensiva di interessi) che Tizio doveva versare ogni mese per ripagare il prestito di € 100,000,00 concessogli da Caio. Sempronio si recava quindi da Tizio minacciandolo insieme a sua moglie con un coltello, fino all'arrivo della polizia.

La condotta di Sempronio presenta le caratteristiche dell'estorsione ex art. 629 cp, ovvero la condotta di colui che con violenza o minaccia costringe taluno a fare qualcosa, procurando un ingiusto profitto a sé o ad altri con l'altrui danno.

Il reato di estorsione è a dolo generico, in quanto il procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto con l'altrui danno non rappresenta solo lo scopo in vista del quale il colpevole si determina al comportamento criminoso, ma un elemento della fattispecie oggettiva. Tale evento si caratterizza, quanto all'elemento psicologico, per la consapevolezza di usare la violenza e la minaccia al fine di procurare a sé o ad altri un profitto ingiusto, con conseguente estensione del dolo all'ingiustizia del profitto che costituisce uno degli elementi materiali del reato. L'estorsione si consuma con il conseguimento dell'ingiusto profitto (qui rappresentato dalla rata comprensiva di interesse al 7,5%) che si verifica quando la cosa oggetto del reato sia entrata nel patrimonio dell'agente, sicché questi abbia la possibilità di disporne. Inoltre la costrizione che deve seguire alla violenza o alla minaccia, attiene all'evento del reato, mentre l'ingiusto profitto con l'altrui danno si atteggia a ulteriore evento; di conseguenza si ha solo tentativo nel caso in cui la violenza o la minaccia non raggiungano il risultato di costringere la persona ad un facere ingiusto. Questo porta ad affermare che la condotta di Sempronio rientra nell'ipotesi del tentativo di estorsione poiché l'intervento della polizia gli ha impedito di ottenere il risultato anelato, ovvero il pagamento della rata mensile. Inoltre la condotto di Sempronio integra l'aggravante dell'arma, poiché il soggetto si è presentato armato di coltello durante l'espletamento delle sue minacce a Tizio e alla moglie. Del resto per la configurabilità di tale aggravante è sufficiente che l'arma sia portata in modo tale da intimidire, non è necessario che sia addirittura impugnata per minacciare.

Alla luce della suddetta analisi, è possibile affermare che la condotta di Sempronio si inquadra nella fattispecie del tentativo di estorsione ex art. 629 cp (poiché la sua minaccia non ha raggiunto il risultato di costringere Tizio al facere ingiusto) aggravato dall'uso dell'arma. Di conseguenza in applicazione dell'art. 86 cp "delitto tentato" Sempronio potrebbe ottenere la riduzione fino ad un terzo della pena stabilita per il delitto di estorsione.

Per quanto concerne, invece, la condotta di Caio sembra configurarsi l'ipotesi di cui all'art. 644 cp, ovvero quella di colui che si fa dare o promettere per sé o per altri, in corrispettivo di una prestazione di denaro, interessi usurari. Caio, infatti, elargiva a Tizio la somma di €100,000,00 da restituirsi in 40 rate mensili con un interesse del 7,5% su ogni rata.

La condotta tipica del reato di usura non richiede che il suo autore assuma atteggiamenti intimidatori o minacciosi nei confronti del soggetto passivo, atteso che tali comportamenti caratterizzano la diversa fattispecie di estorsione. Sussiste tale delitto anche nell'ipotesi in cui il soggetto passivo sia un imprenditore che si trovi nella necessità di chiedere prestiti e corrispondere interessi usurari per necessità aziendali e non personali. Difatti nel caso in esame Caio si presenta come ricco benefattore in grado di aiutare Tizio, imprenditore locale in difficoltà economica. Il reato di usura appartiene al novero dei reati a condotta frazionata o a consumazione prolungata, poiché i pagamenti effettuati dalla persona offesa in esecuzione del patto usurario compongono il fatto lesivo penalmente rilevante, di cui segnano il momento consumativo sostanziale, e non sono qualificabili come post factum non punibile della illecita pattuizione. Del resto la dazione effettiva degli interessi, che può essere frazionata nel tempo, coincide proprio con la consumazione del delitto, il quale si atteggia, in tal caso, a delitto a consumazione prolungata, perdurando fino a che non cessano le dazioni degli interessi. Inoltre, ai fini dell'integrazione del delitto di usura, occorre che il soggetto passivo versi in uno stato di bisogno. Tale stato non deve ritenersi come stato di necessità tale da annientare in modo assoluto qualunque libertà di scelta, ma come un assillo impellente che, limitando la volontà del soggetto, lo induca a ricorrere al credito e ad accertare condizioni usurarie. Difatti, Tizio si trova in palese difficoltà economica, maggiorata anche dal rifiuto di un finanziamento da parte della Banca Beta. Per di più l'usura è punibile solo a titolo di dolo diretto consistente nella cosciente volontà di conseguire vantaggi usurari con la consapevolezza dello stato di bisogno del soggetto passivo che, in virtù della sua situazione di menomata libertà di autodeterminazione, non sia in grado di resistere alle pretese dell'agente. Proprio nella condotta di Caio è ravvisabile un dolo diretto, nel momento in cui, infatti, egli approfitta dello stato di bisogno di Tizio per imporgli un patto usurario a cui non potrà rinunciare.

Alla luce delle esposte argomentazioni, è possibile affermare che la condotta di Caio si inquadra nella fattispecie dell'usura ex art. 644 cp.

Occorre a questo punto comprendere se vi è concorso fra le condotte di Sempronio e Caio.

I delitti di usura e di estorsione concorrono ove la violenza o la minaccia, assenti al momento della stipula del patto usurario, siano impiegate in un momento successivo per ottenere il pagamento degli interessi pattuiti. La Corte di Cass. (n. 6918/2011, n. 5231/2009) ha precisato che sussiste per contro il solo reato di estorsione ove violenza e minaccia siano usate ab initio al fine di ottenere la dazione dei suddetti vantaggi. A seguito delle modifiche introdotte dalla L. n. 108/1996, si deve ritenere il reato di usura annoverabile tra i delitti a "condotta frazionata" o a "consumazione prolungata". Di conseguenza, concorre nel reato del 644 cp solo colui il quale, ricevuto l'incarico di recuperare il credito usurario, sia riuscito ad ottenere il pagamento; negli altri casi, l'incaricato risponde di favoreggiamento personale o nell'ipotesi di violenza o minaccia rivolta al debitore (come nel caso in esame), di estorsione, posto che il momento consumativo dell'usura rimane quello originario della pattuizione.

In conclusione, alla luce delle argomentazioni sopra esposte, è possibile affermare che Sempronio risponderà di estorsione tentata aggravata dall'uso di armi ex art. 629 cp, mentre Caio risponderà del delitto di usura ex art. 644 cp. infine Sempronio non risponderà in concorso del delitto di usura in quanto la minaccia rivolta a Tizio e a sua moglie non ha portato all'ottenimento del risultato auspicato, ovvero il pagamento della rata.