AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO E DIRETTIVE TERAPEUTICHE: IL PRINCIPIO DI AUTODETERMINAZIONE ATTRAVERSO LA GIURISPRUDENZA DI LEGITTIMITA'

01.09.2019

Dott. Remo Trezza

Corte di Cassazione, sezione Prima Civile, 15 maggio 2019, n. 12998

 (...) Va osservato, al riguardo, che l'applicazione dell'amministrazione di sostegno presuppone la sussistenza di una ipotesi nella quale una persona sia priva, in tutto o in parte, di autonomia non solo a cagione di una infermità di mente, come nel caso dell'interdizione, ai sensi dell'art. 414 cod. civ., bensì anche per una qualsiasi altra "infermità" o "menomazione fisica", anche parziale o temporanea, che lo ponga nell'impossibilità di provvedere ai propri interessi. Per il che, il giudice in siffatta ipotesi, corrispondente allo schema normativo di cui all'art. 404 cod. civ. è tenuto, in ogni caso, a nominare un amministratore di sostegno poiché la discrezionalità attribuita dalla norma ha ad oggetto solo la scelta della misura più idonea (1), e non anche la possibilità di non adottare alcuna misura, che comporterebbe la privazione, per il soggetto incapace, di ogni forma di protezione dei suoi interessi, ivi compresa quella meno invasiva (2).

Ne discende che soltanto la persona che si trovi nella piena capacità psico-fisica non è legittimata a richiedere l'amministrazione di sostegno, presupponendo l'attivazione della procedura la sussistenza della condizione attuale d'incapacità, in quanto l'intervento giudiziario non può essere che contestuale al manifestarsi dell'esigenza di protezione del soggetto (3).

 Ora, nel caso concreto, la Corte territoriale - nel fondare il diniego di apertura della procedura in questione sull'erroneo presupposto della sussistenza della capacità di intendere e di volere del beneficiario non ha considerato la gravissima patologia della quale il XXX è portatore (MAV- malformazione artero-venosa) che come si desume dalle diverse certificazioni mediche trascritte nel ricorso, ed a suo tempo sottoposte al giudice del reclamo - comportano emorragie continue, con conseguente "instaurarsi di shock emorragico con rapida perdita della coscienza e compromissione delle funzioni vitali", e con gravi difficoltà nell'eloquio; tanto che, stando alle predette certificazioni, il medesimo si esprime - e non sempre ci riesce esclusivamente mediante computer. Da tali certificazioni si evince, altresì, che il XXX è ben consapevole del rischio di morte che corre in caso di shock emorragico violento, e che essendo testimone di Geova fin dal 1982 - nell'evenienza tali crisi, in special modo se sedato, non potrebbe in alcun modo manifestare il proprio dissenso alla terapia trasfusionale (4).

(...) Ebbene, non può revocarsi in dubbio che tale designazione anticipata non abbia la mera funzione della scelta del soggetto cui, ove si presenti la necessità, deve rivolgersi il provvedimento di nomina del giudice tutelare5.

(...) Invero, il collegio, dissentendo dalle cui conclusioni cui è pervenuta la suddetta sentenza - ed aderendo invece al principio affermato da Cass., 07/06/2017, n. 14158 - ritiene che la designazione anticipata in questione abbia anche la finalità di poter impartire delle direttive, quando si è nella pienezza delle proprie facoltà cognitive e volitive, sulle decisioni sanitarie o terapeutiche da far assumere all'amministratore di sostegno designato, qualora si prospetti tale nuova condizione del designante.

Invero, l'art. 408 cod. civ. il quale ammette la designazione preventiva dell'amministratore di sostegno da parte dello stesso

interessato, in previsione della propria eventuale futura incapacità, mediante atto pubblico o scrittura privata autenticata - è espressione del principio di autodeterminazione della persona, in cui si realizza il valore fondamentale della dignità umana, ed attribuisce quindi rilievo al rapporto di fiducia interno fra il designante e la persona prescelta, che sarà chiamata ad esprimerne le intenzioni in modo vincolato, anche per quel che concerne il consenso alle cure sanitarie (6).

(...) Al riguardo, questa Corte ha già da tempo affermato - muovendo dalla considerazione che l'art. 32 della Costituzione il quale, dopo aver espresso il principio generale per cui "la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti" precisa che "nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge" e che, in ogni caso, "la legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana" - che in tema di attività medico-sanitaria, il diritto alla autodeterminazione terapeutica del paziente non incontra un limite allorché da esso consegua il sacrificio del bene della vita. Di fronte al rifiuto della cura da parte del diretto interessato, c'è spazio nel quadro dell' "alleanza terapeutica" che tiene uniti il malato ed il medico nella ricerca, insieme, di ciò che è bene rispettando i percorsi culturali di ciascuno - per una strategia della persuasione, perché il compito dell'ordinamento è anche quello di offrire il supporto della massima solidarietà concreta nelle situazioni di debolezza e di sofferenza; e c'è, prima ancora, il dovere di verificare che quel rifiuto sia informato, autentico ed attuale.

Ma allorché il rifiuto abbia tali connotati non c'è possibilità di disattenderlo in nome di un dovere di curarsi come principio di ordine pubblico. Né il rifiuto delle terapie medico-chirurgiche, anche quando conduce alla morte, può essere scambiato per un'ipotesi di eutanasia (7), ossia per un comportamento che intende abbreviare la vita, causando positivamente la morte, giacché tale rifiuto esprime piuttosto un atteggiamento di scelta, da parte del malato, che la malattia segua il suo corso naturale.

Il consenso informato ha come correlato la facoltà non solo di scegliere tra le diverse possibilità di trattamento medico, ma - atteso il principio personalistico che anima la nostra Costituzione (8)  e la nuova dimensione che ha assunto la salute (9)  altresì di eventualmente rifiutare la terapia e di decidere consapevolmente di interromperla, in tutte le fasi della vita, anche in quella terminale (10).

Ciò assume connotati ancora più forti, degni di tutela e garanzia, laddove il rifiuto del trattamento sanitario rientri e sia connesso all'espressione di una fede religiosa il cui libero esercizio è sancito dall'art. 19 Cost.

In tale prospettiva vanno collocati i disposti degli artt. 408 cod. civ., laddove prevede che la scelta dell'amministratore di sostegno avvenga con "esclusivo riguardo alla cura e agli interessi della persona", ed il successivo art. 410 cod. civ., primo comma, che impone al predetto di agire tenendo conto dei bisogni e delle "aspirazioni" del beneficiario, a maggior ragione se questi le abbia già dichiarate con l'atto di designazione proprio in previsione della sua futura incapacità.

La dignità umana costituisce il valore fondamentale a base dei principi suesposti, e su di essa converge il reticolo delle fonti giuridiche interne e sovranazionali (11).

In tal senso si è, del resto, espressa anche la giurisprudenza europea (12).

Come ha ammesso la giurisprudenza interna, una persona può rivendicare il diritto di esercitare la propria scelta di morire rifiutandosi di acconsentire a un trattamento che potrebbe produrre l'effetto di prolungare la sua vita (13).

Ed ancora, il diritto di un individuo di decidere in quale modo e in quale momento la sua vita deve terminare, a condizione che egli sia in grado di formare liberamente la propria volontà a questo proposito e di agire di conseguenza, è uno dei corollari del diritto al rispetto della sua vita privata (14).

Tali principi sono stati, da ultimo, ribaditi dalla Grande Camera (15).

(...) Alla stregua di tale quadro normativo, nazionale e sovranazionale, e giurisprudenziale di riferimento, è evidente che si palesa erronea l'affermazione della Corte d'appello, secondo cui l'amministrazione di sostegno in quanto finalizzata solo a consentire al beneficiario la cura dei propri interessi, alla quale è impedito a causa di una malattia o una menomazione psichica fisica - non può essere funzionale alla tutela del diritto soggettivo a rifiutare determinati trattamenti terapeutici, trattandosi di un diritto azionabile autonomamente e direttamente in giudizio, e non tutelabile, in via indiretta, mediante tale forma di protezione. Al contrario, deve ritenersi che - attraverso la scelta dell'amministratore da parte del beneficiario - sia possibile esprimere, nella richiesta di amministrazione di sostegno ai sensi del combinato disposto degli artt. 406 e 408 cod. civ. proprio l'esigenza che questi esprima, in caso di impossibilità dell'interessato, il rifiuto di quest'ultimo di determinate terapie; tale esigenza rappresenta la proiezione del diritto fondamentale della persona di non essere sottoposto a trattamenti terapeutici, seppure in via anticipata, in ordine ad un quadro clinico chiaramente delineato (16).

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(1) Come l'amministrazione di sostegno, l'inabilitazione e l' interdizione.

(2) Vedi Cass., n. 13929/2014; Cass., n. 22332/2011.

(3) Cfr. Cass., n. 2370/2012.

(4) La Corte continua, attagliandosi al caso di specie, nel senso che deve ritenersi che la Corte di appello sia incorsa anche nella denunciata violazione dell'art. 407 cod. civ., nella parte in cui impone al giudice di "sentire personalmente la persona cui il provvedimento si riferisce", risultando, per converso, dall'esame della epigrafe e dal contenuto del decreto impugnato, che la Corte si è limitata a sentire soltanto la XXX ed il difensore, mentre non ha in alcun modo sentito il XXX accontentandosi del fatto che il medesimo fosse comparso personalmente. Da quanto suesposto contrariamente all'assunto della Corte d'appello deriva dunque la ineludibilità dell'apertura dell'amministrazione di sostegno a favore del XXX. Tutto ciò premesso, è del tutto evidente che, nel caso di specie, la designazione della XXX come amministratrice di sostegno del marito è stata compiuta dal XXX sulla base del paradigma normativo fissato nell'art. 408 cod. civ., primo comma, che prevede che "l'amministratore di sostegno può essere designato dallo stesso interessato in previsione della propria eventuale futura incapacità". E ciò al fine precipuo di esprimere, in caso di impossibilità del marito, il dissenso alla somministrazione di trasfusioni a base di emoderivati. Tanto si evince dalla ragione essenziale posta a fondamento della istanza, ai sensi dell'art. 407, primo comma, cod. civ., secondo cui il ricorso deve contenere, tra l'altro, "le ragioni per cui si richiede la nomina dell'amministratore di sostegno" consistente proprio nel palesare ai sanitari tale rifiuto - espresso nelle direttive anticipate - di essere sottoposto a trasfusioni, per motivi religiosi.

(5) Salvo il limitato potere di deroga dalla designazione previsto dalla norma stessa "in presenza di gravi motivi", come affermato dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 23707/12 secondo cui, in un caso di ritenuta probabile futura incapacità del ricorrente, ha subordinato la nomina dell'amministratore di sostegno alla sussistenza della condizione attuale d'incapacità del designante.

(6) Nel caso concreto la scelta del soggetto è eziologicamente collegata alle direttive espresse con la suddetta scrittura privata in ordine alla negazione del consenso ai trattamenti medici futuri fondati sulle trasfusioni di sangue, negazione che ha costituito la ragione fondante dell'istanza stessa di apertura dell'amministrazione di sostegno e risulta ad essa strettamente ed inscindibilmente legata.

(7) Vedi omicidio del consenziente, art. 579 c.p., o aiuto al suicidio, art. 580 c.p..

(8) La quale vede nella persona umana un valore etico in sé e guarda al limite del "rispetto della persona umana" in riferimento al singolo individuo, in qualsiasi momento della sua vita e nell'integralità della sua persona, in considerazione del fascio di convinzioni etiche, religiose, culturali e filosofiche che orientano le sue determinazioni volitive.

(9) Non più intesa come semplice assenza di malattia, ma come stato di completo benessere fisico e psichico, e quindi coinvolgente, in relazione alla percezione che ciascuno ha di sé, anche gli aspetti interiori della vita come avvertiti e vissuti dal soggetto nella sua esperienza.

(10) Vedi Cass., n. 21748/2007.

(11) Rappresentate dagli artt. 2, 3 e 35 della Carta di Nizza dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, vincolante dopo l'entrata in vigore del Trattato di Lisbona, dai principi di cui agli artt. 5, 9 e 21 della Convenzione di Oviedo, che impongono di tener conto, a proposito di un intervento medico, dei desideri del paziente non in grado di esprimere la sua volontà dall'art. 38 del Codice Deontologico nella formulazione del 2006, che impone al medico di tener conto di quanto precedentemente manifestato dal paziente in modo certo e documentato, dalla Risoluzione del Parlamento Europeo del 18 dicembre 2008 che reca raccomandazioni alla Commissione sulla protezione giuridica degli adulti. Ancor più significativa è la Convenzione di New York ratificata con L. 3 marzo 2009, n. 18, che nel preambolo riconosce l'importanza per le persone con disabilità nell'autonomia ed indipendenza individuale della libertà di scegliere le cure mediche, e ne promuove, garantisce e protegge il pieno godimento dei diritti umani e delle libertà fondamentali, ed agli artt. 3, 12 e 17 garantisce il rispetto della dignità del disabile, attraverso l'eliminazione di barriere che ne determinino disuguaglianze, il rispetto dell'integrità fisica e l'esercizio effettivo della capacità giuridica, imponendo agli Stati d'assicurare tutte le misure relative (Cfr. Cass., n. 23707/2012).

(12) Secondo la quale "In materia di cure mediche, il rifiuto di accettare un trattamento particolare potrebbe, in maniera ineluttabile, portare a un esito fatale, ma l'imposizione di un trattamento medico senza il consenso del paziente se adulto e sano di mente si tradurrebbe in una violazione dell'integrità fisica dell'interessato che può mettere in discussione i diritti protetti dall'articolo 8 § 1 della Convenzione".

(13) Vedi Corte EDU, 29 aprile 2002, Pretty c. R.U.

(14) Cfr. Corte EDU, 20 gennaio 2011, Haas c. Svizzera

(15) La Corte rammenta anzitutto che il paziente, anche se non in grado di esprimere la propria volontà, è colui il cui consenso deve rimanere al centro del processo decisionale, che ne è il soggetto e autore principale. La "Guida al processo decisionale nell'ambito del trattamento medico nelle situazioni di fine vita" del Consiglio d'Europa raccomanda che il paziente sia inserito nel processo decisionale attraverso le volontà da lui precedentemente espresse, di cui prevede che possano essere state comunicate oralmente a un famigliare o a un congiunto paragrafo 63- (Corte CEDU, 05 giugno 2016, Grande Camera, Lambert c. Francia).

(16) Alla fine, la Corte di Cassazione ha stabilito che: "Peraltro, la motivazione adottata dalla Corte d'appello appare anche contraddittoria nell'affermare che la procedura diretta alla nomina dell'amministratore di sostegno non sia funzionale alla tutela del diritto avente ad oggetto il rifiuto di essere sottoposto ad un trattamento terapeutico, e che essa richiederebbe invece l'esercizio di un'autonoma azione di accertamento, in quanto tale azione, nella fattispecie in esame, seppure esperita dal XXX , non garantirebbe, di per sé, la realizzazione del diritto fatto valere, poiché, nell'ipotesi dell'evenienza delle paventate crisi emorragiche, egli sarebbe verosimilmente privo della capacità di agire e necessiterebbe comunque della nomina di un rappresentante legale - anche nella qualità di amministratore di sostegno - il quale, in nome e per conto dell'interessato, esprima il diniego attuale del trattamento fondato su trasfusioni ematiche. In definitiva, il collegio ritiene che l'interpretazione sopra prospettata del combinato disposto degli artt. 408 e 410, c.c., debba imporsi poiché conforme ad un canone ermeneutico costituzionalmente orientato, riguardo alle esigenze sottese agli artt. 2, 19 e 32, Cost. in linea peraltro con il citato orientamento della giurisprudenza della CEDU".