NOTA A CASS. PEN., 7 FEBBRAIO 2019, N. 19776: LA CASSAZIONE CHIARISCE CHE EVENTUALI PAUSE TRA I DIVERSI EPISODI LESIVI NON SONO IN GRADO DI ESCLUDERE L'ABITUALITA' 

01.01.2022

Dott.ssa Giulia Rizzo

Con la sentenza in esame, la Cassazione ha stabilito che integra il reato di maltrattamenti in famiglia ex art. 572 c.p. la realizzazione di più atti, delittuosi o meno, di carattere vessatorio, in grado di generare sofferenze fisiche e morali, posti in essere in tempi diversi, non essendo necessario che essi vengano realizzati per un periodo di tempo prolungato. Quello che rileva, infatti, è la ripetizione dei suddetti comportamenti lesivi, anche se in un lasso di tempo molto esiguo, non assumendo alcuna rilevanza, stante il carattere abituale del reato, il fatto che durante tale periodo di tempo sia possibile constatare la presenza di periodi di serenità con il soggetto passivo (1) 

Il commento

La Cassazione, come già fatto in precedenza, torna a pronunciarsi sulla nozione di abitualità in tema di maltrattamenti in famiglia ex art. 572 c.p.

Ai fini dell'analisi della pronuncia, giova segnalare le diverse posizioni dottrinali e giurisprudenziali in ordine alla natura giuridica del reato di maltrattamenti in famiglia ex art. 572 c.p.

La dottrina (2) meno recente, infatti, ha qualificato il reato in esame come reato complesso, in quanto caratterizzato da un'assoluta eterogeneità di condotte, in alcuni casi offensive dell'onore, in altri casi lesive del decoro, in altre circostanze ancora idonee a ledere l'integrità fisica e morale delle vittime.

Si tratta di una tesi che è stata successivamente seguita anche da altri autori (3).

In altri termini, si è ritenuto che l'art. 572 c.p. sarebbe costituito dall'unione di una serie di atti che sono idonei ad integrare di per sé maltrattamenti con una condotta finale che, sebbene autonoma, sotto il profilo eziologico e autosufficiente per la produzione dell'evento lesivo, è ricollegata ai primi da una continuità che si dipana sotto il profilo temporale, logico e psicologico.

Il reato di maltrattamenti in famiglia, dunque, sarebbe un reato complesso in quanto caratterizzato dal fenomeno di fusione ed assorbimento.

Questa tesi, tuttavia, non è stata condivisa dalla dottrina successiva. In particolare, si è ritenuto che "malgrado la eterogeneità dei vari momenti esecutivi, essi sono sempre presi in considerazione nel loro comune e particolare significato di atti di maltrattamento e sono quindi omogenei nella loro essenza offensiva" (4).

Inoltre, anche ammettendo che il reato di maltrattamenti in famiglia sia un reato complesso, ciò non escluderebbe la qualifica di reato abituale in presenza dei requisiti richiesti.

Ed ancora, si è ritenuto che laddove il reato di maltrattamenti venga posto in essere mediante atti che costituiscono autonomamente dei reati, non si verificherebbe sempre quel fenomeno di fusione ed assorbimento che è tipico del reato complesso.

Altra dottrina (5), ancora, ha criticato la qualificazione giuridica del reato in esame come reato complesso giacché le diverse azioni ed omissioni, sebbene poste in essere in momenti diversi, vengono comunque prese in considerazione nel significato comune di "maltrattamenti".

La giurisprudenza non ha mai qualificato il reato in esame come reato complesso: del resto, parte della dottrina autorevole, si è sin da subito rivelata dissonante, in quanto non tiene conto di quelle che sono le caratteristiche sostanziali del reato di maltrattamenti in famiglia che, come sottolineato autorevolmente da altra dottrina, è sovente privo di quei requisiti di fusione ed assorbimento che caratterizzano il reato complesso.

La genericità del reato complesso ha indubbiamente favorito queste posizioni. Va segnalato, a tal proposito, che il fatto che alcune categorie di reati aggravati o qualificati dall'evento, oltre che gli stessi delitti preterintenzionali, possano essere inquadrati nell'ambito del reato complesso è opinione molto risalente (6).

Sebbene si tratti di opinione genericamente contrastata, essa è ritornata in auge soprattutto a seguito dell'introduzione dell'art. 6 d.l. n. 99 del 1974 (convertito in l. 7 giugno 1974, n. 220), che ha imposto il giudizio di comparazione per tutte le circostanze del reato, ivi incluse quelle circostanze aggravanti per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa o ne determina la misura in modo indipendente dalla pena ordinaria del reato.

Considerato che nella maggior parte dei delitti aggravati dall'evento, in particolare per quelli di tipo preterintenzionale, l'aumento di pena rispetto al reato-base è previsto nella forma di una circostanza autonoma od indipendente (oggi denominata da nuove leggi anche circostanza ad effetto speciale) e si sottraeva pertanto, prima della riforma del 1974, al giudizio di comparazione, la possibilità dell'eliminazione degli effetti aggravanti per fatti in sé gravissimi e lesivi di beni diversi da quelli lesi dal reato- base è apparsa inaccettabile alla coscienza giuridica.

Da qui sono nati numerosi tentativi di sottrarre i suddetti delitti, tra cui anche quello di maltrattamenti in famiglia, alla disciplina della comparazione delle aggravanti con le attenuanti: una delle soluzioni individuate, per l'appunto, è stata proprio la qualificazione in termini di reato complesso che, si ribadisce, non può essere considerata appagante.

Altra dottrina, invece, ha qualificato il reato di maltrattamenti in famiglia come reato permanente. Le tesi che qualificavano il reato di maltrattamenti in famiglia come reato permanente poggiavano soprattutto sulla sofferenza permanente del soggetto passivo, senza considerare, tuttavia, la discontinuità delle condotte. Inoltre, si è anche ritenuto che il reato sarebbe permanente perché il reo potrebbe farlo cessare in ogni momento (7).

Anche parte della giurisprudenza ha qualificato il reato come permanente, sebbene si tratti di un indirizzo minoritario. Si è sostenuto che «nel reato di maltrattamenti in famiglia, quando la condotta è in danno del coniuge, la permanenza cessa allorché interviene il divorzio cui non segua la ricomposizione di una relazione e consuetudine di vita improntata a rapporti di assistenza e solidarietà reciproche» (8).

Anche questa tesi, tuttavia, si espone a critiche, considerata la discontinuità che la condotta presenta e potendo i vari episodi succedersi anche in tempi relativamente distanziati (9).

La dottrina prevalente (10), oggi, ritiene che il reato di maltrattamenti in famiglia sia un reato abituale. Sebbene la legge non fornisca una definizione di reato abituale, trattandosi a tutti gli effetti di una costruzione dottrinale, viene comunemente considerato tale un reato per la cui esistenza è richiesta la reiterazione nel tempo di una serie di condotte le quali, singolarmente considerate, possono anche non costituire reato ma che, complessivamente considerate, realizzano la condotta necessaria per il perfezionamento della fattispecie legale.

Il carattere abituale della condotta e la mancanza di un evento naturalisticamente percepibile, distinto della condotta stessa, rende difficile la determinazione del momento consumativo del reato. Tuttavia, da un punto di vista generale, si può ritenere che il reato si consuma nel momento in cui si verifica una serie di atti di maltrattamento sufficienti ad integrare l'azione tipica richiesta dal legislatore, ovviamente supportata dall'elemento soggettivo espressamente previsto.

In mancanza di indicazioni legislative, l'accertamento del verificarsi del fatto tipico sarà effettuato dal giudice caso per caso. La consumazione, normalmente, si intende verificatasi al momento della commissione dell'ultimo episodio di maltrattamento.

Chiarito, dunque, che ci si trova al cospetto di un reato abituale11, la sentenza in epigrafe ha correttamente interpretato il dato normativo, uniformandosi ai precedenti giurisprudenziali sul tema ed agli orientamenti della dottrina.

Infatti, si ritiene che il contenuto di offesa deve essere rapportato in termini di continuità d'aggressione al bene oggetto di tutela, tanto che la dottrina (12) e la giurisprudenza prevalenti ritengono che il delitto di maltrattamenti richieda il carattere abituale della condotta che lo caratterizza; abitualità che non risulterà esclusa da eventuali momenti di pausa tra i vari episodi lesivi, purché questi ultimi non siano di durata tale da interrompere la stessa progressione criminosa.

Come segnalato, anche i precedenti giurisprudenziali consolidano la decisione della Cassazione. In particolare, la giurisprudenza di merito aveva sottolineato che deve ritenersi perfezionato il reato di cui all'art. 572 c.p. laddove il soggetto ponga in essere più condotte reiterate, legate dal vincolo dell'abitualità, nei confronti della persona offesa, con l'obiettivo di provocare numerose sofferenze fisiche, psichiche e morali, idonee a produrre un grave stato di avvilimento. Il fatto che esistano intervalli alternati ai singoli episodi offensivi non è infatti un elemento in grado di escludere la sussistenza del vincolo di abitualità laddove la durata degli stessi non sia stata comunque idonea ad interrompere la fattispecie criminosa nel suo complesso (13).

La presenza di episodi di normalità, dunque, non è capace di spezzare il nesso di continuità e il carattere abituale del reato: in tal senso si è espressa ancora la giurisprudenza, secondo cui nell'ambito della struttura del reato di maltrattamenti in famiglia non rientrano solo le percosse, le lesioni, le ingiurie, le minacce e le privazioni e le umiliazioni imposte alla vittima ma, in senso generale, qualunque atto di disprezzo o comunque offensiva della dignità della vittima stessa.

Quello che rileva, infatti, è che si tratti di atti che siano idonei a provocare vere e proprie sofferenze morali. Ancora una volta, poi, si sottolinea che la presenza di intervalli di "serenità" e "normalità" non esclude la sussistenza del delitto, trattandosi di un reato abituale e non permanente (14).

La decisione della Cassazione, nel solco di un orientamento giurisprudenziale consolidato, si muove nella prospettiva di una maggiore tutela della vittima.

Questa, infatti, rischierebbe di essere sottoposta ad una umiliazione ulteriore laddove si riconoscesse che momenti di serenità e tranquillità familiari siano in grado di porre fine al carattere abituale dei maltrattamenti.

Allo stesso tempo, però, la pronuncia solleva qualche interrogativo di non poco conto. Il reato abituale, per sua natura (fermo restando che trattasi di un reato di costruzione dottrinaria) presuppone pur sempre una continuità delle condotte.

La scelta della Cassazione, di considerare perfezionato il reato di maltrattamenti in famiglia e, quindi, l'abitualità della condotta, anche in presenza di periodi di serenità, sembra stridere con la natura intrinseca del reato abituale e collidere con i principi di tassatività e determinatezza penali.

Fermo restando, infatti, che i singoli atti lesivi, se costituenti autonomo reato, vanno puniti, ci si chiede se è corretto punire, in punta di diritto e tralasciando il lato emozionale, un soggetto che ponga in essere condotte di maltrattamenti intervallate a grande distanza tra loro, interrompendo, dunque, il nesso di abitualità.

La sensazione è che la via scelta dalla Cassazione sia stata quella di privilegiare il ruolo e la posizione della vittima, ma il rischio di comprimere i principi fondamentali del diritto penale non può essere affatto sottovalutato e deve in qualche modo far riflettere.

Pare evidente, in conclusione, che la pronuncia della Cassazione, se è vero che attribuisce una tutela piena alle vittime dei maltrattamenti in famiglia, allo stesso tempo pare sacrificare in maniera eccessiva la posizione del soggetto che ha commesso la condotta.

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1) Cfr. Cass. pen., 7 febbraio 2019, n. 19776, in dejure.it. Per un inquadramento generale del reato di maltrattamenti, nella sterminata produzione bibliografica, si v., senza pretesa di esaustività, COPPI, Maltrattamenti in famiglia o verso fanciulli, in Enc. dir., XXV, Milano, 1975, p. 411 ss.; GIUNTI, Famigliaedelitticontrolapersona, in RIONDATO (a cura di), Trattato di diritto di famiglia. IV. Diritto penaledella famiglia, Milano, 2011, p. 803 ss.; ZANNOTTI, I reati contro lafamiglia, in ANTONINI, CARMONA (a cura di), Questioni fondamentalidella parte speciale di diritto penale, Torino, 2018, p. 235 ss. Più in generale, sul problema e la rilevanza penale della violenza domestica, si v. PECORELLA, FARINA, Larispostapenaleallaviolenzadomestica:un'indaginesullaprassideltribunalediMilanoinmateriadimaltrattamenti contro familiari e conviventi (art. 572 c.p.), in Dir. pen.cont., 10 aprile 2018.

2) Cfr. LEONE, Delreatoabituale,continuatoepermanente, Napoli, 1933, p. 157; GIOFFREDI, Maltrattamenti in famiglia o verso fanciulli, in NDI., VIII, 1939, p. 39; PANNAIN, La condotta nel delitto di maltrattamenti, Napoli, 1964, p. 62 ss., il quale ha ritenuto che possono riferirsi al reato di maltrattamenti entrambe le qualifiche di abituale e di complesso, in quanto del tutto compatibili tra di loro.

3) GIOFFREDI, Maltrattamenti, cit., p. 39; PANNAIN, La condotta nel delittodimaltrattamenti, cit., p. 62 ss.

4) Si è osservato, in proposito, che «a parte il fatto che la natura di reato complesso non escluderebbe di per sé la qualifica di reato abituale nei confronti della stessa fattispecie se ne ricorressero i connotati, si deve aggiungere a sostegno della natura essenzialmente abituale del reato di maltrattamenti che questo può concretizzarsi anche attraverso il compimento di atti in sé non costituenti reato. Inoltre va tenuto presente che, nell'ipotesi in cui il reato di maltrattamenti viene realizzato attraverso il compimento di atti in sé già qualificabili come reato, non sempre si verifica quel fenomeno di fusione o di assorbimento che è tipico del reato complesso: come vedremo meglio di qui a poco, infatti, i reati di lesioni volontarie, di violenza privata, di sequestro di persona, ad esempio, non restano assorbiti in quello di maltrattamenti, del quale contribuiscono a formare la condotta, ma concorrono con esso. Da quando si è detto fino a questo punto risulta evidente come il delitto maltrattamenti sia di danno»: così COPPI, Maltrattamentiin famigliao versofanciulli, cit., p. 416.

5) PISAPIA, Maltrattamentiinfamigliaoversofanciulli, in DP., XIV, Torino, 1994, p. 78.

6) Per un inquadramento del delitto preterintenzionale (e di quei "delitti qualificati dall'esito" che ad esso si assomigliano) nel concorso di reati (sia pure come forma di concorso anomalo) cfr. ad esempio SPASARI, Osservazionisullanaturagiuridicadelcosidettodelittopreterintenzionale, in Archivio penale, 1, 1957, p. 229 ss. Per l'omicidio preterintenzionale come «figura affine al reato complesso» cfr. VANNINI, Delitti contro la vita, Milano, 1946, 147 (opinione poi modificata dallo stesso autore in Quid iuris, V, Milano, 1950, p. 76). Del resto la posizione rientra nella vecchia logica della preterintenzione come «dolo misto a colpa», che porta a considerare l'omicidio preterintenzionale come un delitto di lesioni dolose o di percosse accompagnato da un omicidio colposo.

7) Cfr. MANTOVANI, Riflessioni sul reato di maltrattamenti in famiglia, in AA.VV., Studi in onore di F. Antolisei, II, Milano, 1965, p. 246, secondo cui il contrasto tra natura abituale e natura permanente del delitto si ridurrebbe più ad improprietà terminologica che a differenza di sostanza a seconda che si faccia riferimento generico all'instaurazione di una persistente situazione di vessazioni oppure si assuma il termine in senso strettamente tecnico.

8) Cass. pen., 12 giugno 2013, n. 50333, in dejure.it. In applicazione del principio, la Corte ha annullato senza rinvio per insussistenza del fatto la sentenza di condanna impugnata limitatamente alla condotta tenuta dall'imputato nel periodo successivo al divorzio.

9)   Cfr. PISAPIA, Delitticontrolafamiglia, Torino, 1953, p. 749 ss.; PETRONE, Reatoabituale, Padova, 1999, p. 946. Cfr. anche COLACCI, Maltrattamentiinfamigliaoversofanciulli, Napoli, 1963, p.97 ss., che pone anche l'accento sul fatto che non è necessaria una protrazione della condotta dopo la realizzazione dell'offesa.

10)   In dottrina, v. ANTOLISEI, Manuale di diritto penale. Part speciale, I, Milano, 2012, p. 410, secondo cui si tratta di «reato a condotta plurima ("abituale", secondo la terminologia corrente)»; COPPI, Maltrattamenti infamiglia, cit., p. 269; PETRONE, Reato abituale, in NN.D.L, XIV, Torino, 1967, p. 946; COLACCI, Maltrattamentiinfamigliaoversofanciulli,cit., p. 95; PISAPIA, Maltrattamenti in famiglia,cit., p. 78.

11) Cfr., in proposito, quanto osservato da PISAPIA, Maltrattamentiinfamiglia o verso fanciulli, cit., p. 557: «benché la legge non dia una definizione del reato abituale, che è una costruzione dottrinale, è pacifico che si intende per abituale un reato per l'esistenza del quale è richiesta la reiterazione nel tempo di più condotte, che di per sé possono anche non costituire reato, ma che nel loro complesso realizzano la condotta necessaria per il perfezionarsi della fattispecie legale».

12) Cfr. PETTENATI, Sullastrutturadeldelittodimaltrattamentiinfamiglia, in Riv.it.dir.proc.pen., fasc. 2, 1961, p. 1110; più di recente si v. BARBATI, Maltrattamenti in famiglia e nuovi contesti familiari. Nota aCass. sez. VI pen. 7 maggio 2018, n. 19868, in Dir. pen. proc., fasc. 9, 2018, p. 1203 ss.

13) Tribunale di Lodi, 24 luglio 2010, in dejure.it.

14) Cass. pen., 7 giugno 1996, n. 8396, in dejure.it. Cfr. anche Cass. pen., 17 aprile 1998, n. 7803, in dejure.it, secondo cui «il delitto di maltrattamenti in famiglia, di cui all'art. 572 c.p., non viene meno, quale reato abituale, se nel periodo considerato, tra una serie e l'altra di episodi di violenza, venga ripristinata la convivenza ad opera della persona offesa, qualora quest'ultima sia indotta a ciò a causa della mancanza di disponibilità di una diversa situazione alloggiativa». Sul tema si v. MINNELLA, LaCassazionetraccialalineadiconfinetrailreatodimaltrattamentiinfamigliae quellodistalking, in Dir. pen.cont., 20 luglio 2012.