MATRIMONIO CIVILE, RELIGIOSO O CONCORDATARIO? SE SCEGLI TI SPOSO!

01.03.2020

Dott.ssa Flavia Lombardi

Il matrimonio civile è quello regolato dal codice civile e dalle leggi speciali. Il rito civile si svolge alla presenza di un Ufficiale di Stato Civile (generalmente il sindaco del Comune in cui si svolge la celebrazione, oppure da persona delegata) e di almeno uno (massimo due) testimoni per parte.

Affinché il rito acquisti valore legale, il celebrante deve adempiere ad alcuni obblighi:

  • dare lettura degli articoli del Codice Civile n. 143, 144 e 147 che regolano, nel nostro ordinamento giuridico, l'istituto del matrimonio;

  • ricevere, da ciascuna delle parti, una dopo l'altra, la dichiarazione di volontà di contrarre matrimonio;

  • dichiarare l'avvenuta unione;

  • far apporre le firme, sugli atti ufficiali, da parte sia degli sposi che dei testimoni.

Non è obbligatorio lo scambio degli anelli.

Il matrimonio religioso ha un valore spirituale per la confessione di riferimento e può essere integrato dal riconoscimento civile. Esistono però alcune differenze a seconda delle confessioni. 

Con riferimento al matrimonio religioso, bisogna innanzitutto evidenziare che nel cristianesimo la negazione dell'elemento materiale è stata secondaria e contingente, per spiegare la natura coniugale del rapporto tra San Giuseppe e la Madre di Gesù. L'esaltazione dell'elemento spirituale del matrimonio operata dal cristianesimo non ha nulla a che fare con "l'elemento spirituale" inteso nel senso di elemento giuridicamente costitutivo dello stesso e indipendente da ogni oggettivo comportamento. La dottrina e la prassi della Chiesa hanno richiesto, in maniera sempre più pressante e rigorosa, che il segno e la grazia sacramentale dell'unione andassero congiunti a situazioni di fatto sempre più obiettivamente certi (1). 

I primi spunti di una concezione contrattuale del matrimonio per le fonti canoniche si rinvengono già in Graziano, ma è solo con il Concilio di Trento (1545-1563) che si fissarono definitivamente i termini della dottrina del matrimonio come contratto-sacramento.

Con i Patti Lateranensi del 1929 è stata reintrodotta, dopo la parentesi liberale, una competenza ecclesiastica nella materia matrimoniale, con la previsione del matrimonio concordatario.

Tale forma di matrimonio ha la funzione precisa di evitare ai cattolici la necessità di celebrare due distinti riti, uno religioso e uno avente rilevanza civile. Prima della riforma, infatti, coloro che avessero contratto esclusivamente matrimonio canonico sarebbero stati considerati alla stregua di conviventi more uxorio da parte dell'ordinamento statuale. Nel matrimonio concordatario il matrimonio come atto è regolato in tutti i suoi aspetti dal diritto canonico (cosicché le eventuali cause di invalidità saranno giudicate dal giudice ecclesiastico); come rapporto, invece, resta regolato dal giudice civile. Nel caso di rito Cattolico, grazie al Concordato del 1929 e riveduto nel 1984, il matrimonio è disciplinato dal diritto canonico, ma i sacerdoti sono delegati ad adempiere anche agli obblighi comportati dall'atto civile. Ai fini del riconoscimento di effetti civili nell'ambito dell'ordinamento statuale, il matrimonio concordatario dovrà rispettare determinate formalità, specificate dall'art. 8 dell'Accordo modificativo del Concordato, stipulato nel 1984 e ratificato con L. n. 121 del 1985, nonché all'art. 4 del Protocollo addizionale.

Perciò, al termine del rito religioso, il sacerdote provvede ad informare gli sposi che il matrimonio ha anche effetti civili, alla lettura degli articoli succitati e a fare apporre le firme sul certificato che, successivamente e nel termine di 5 giorni dall'avvenuta cerimonia, provvederà a trasmettere all'ufficiale di stato civile. In questo modo l'unione potrà essere trascritta agli atti ed avere effetto costitutivo (con effetto retroattivo dalla data della celebrazione).

Per questi motivi, in termini pratici, i nubendi dovranno registrare doppie pubblicazioni prima di poter convogliare a nozze, in chiesa e in comune. Nel caso di rito non Cattolico, lo Stato Italiano ha stipulato intese con buona parte delle confessioni riconosciute, facilitando così gli adempimenti richiesti per dare validità civile all'atto. In questi casi i ministri di culto celebrano come delegati dell'ufficiale di stato civile. Restano perciò gli obblighi del matrimonio autentico (lettura degli articoli, firme e trascrizione agli atti entro 5 giorni, ecc.). Non servono doppie pubblicazioni perché, in questi casi, il matrimonio ha solamente validità civile.

Secondo la legge matrimoniale (art. 8), le sentenze di nullità del matrimonio pronunciate dai tribunali ecclesiastici, munite del decreto di esecutività dell'organo ecclesiastico superiore di controllo, saranno dichiarate efficaci nell'ordinamento italiano su domanda di parte e con sentenza della Corte d'appello competente.

Il rapporto tra la giurisdizione ecclesiastica e quella civile in materia matrimoniale è sempre stato un rapporto intrecciato come dimostra anche la sentenza della Suprema Corte di Cassazione (2), in cui è stato trattato un caso di "matrimonio riparatore" che è stato annullato dai giudici ecclesiastici ma non da quelli civili.

In poche parole, la Corte d'Appello dell'Aquila ha rigettato la domanda di declaratoria di efficacia della sentenza canonica di nullità del matrimonio pronunciata il 12 dicembre 2007 dal Tribunale Ecclesiastico Regionale Abruzzese di Chieti, ratificata dal Tribunale Ecclesiastico d'Appello di Benevento con decreto del 28 aprile 2010 e resa esecutiva dal Tribunale della Segnatura Apostolica con decreto del 1 febbraio 2011.

Il Tribunale Ecclesiastico Regionale aveva dichiarato nulla l'unione matrimoniale per esclusione dell'indissolubilità nell'uomo attore. A sostegno della decisione la Corte d'Appello ha affermato:

a) la delibazione delle sentenze ecclesiastiche per ogni tipo di vizio o mancanza del consenso trova ostacolo nel principio di ordine pubblico costituito dall'ineludibile tutela della buona fede e dell'affidamento incolpevole dell'altro coniuge, in tutti i casi in cui l'esclusione dei bona matrimonii o l'apposizione di una condizione siano rimasti nella sfera psichica di uno dei nubendi e non siano stati conosciuti o conoscibili dall'altro coniuge;

b) l'accertamento della conoscenza o della conoscibilità del fatto che ha determinato la mancanza o il vizio del consenso matrimoniale da parte di un coniuge è riservato al giudice della delibazione, anche se sulla esclusiva base della sentenza e degli atti del processo canonico;

c) il giudice della delibazione, pur non potendo mettere in dubbio l'esistenza dell'esclusione o della condizione del foro interno dell'attore, in quanto accertata dal giudice ecclesiastico, deve comunque accertare in modo particolarmente rigoroso che il coniuge, che abbia inteso escludere uno dei bona matrimonii o subordinare a condizione il matrimonio, abbia fatto partecipe in modo espresso o per fatti concludenti l'altro coniuge;

d) dal materiale istruttorio del processo canonico non si rinviene alcun riferimento neppure indiretto alla conoscenza o conoscibilità dell'esclusione dell'indissolubilità del matrimonio da parte del coniuge né lo si può desumere dai riscontri provenienti da deposizioni testimoniali.

Avverso tale pronuncia è stato proposto ricorso per cassazione il quale è stato dichiarato inammissibile confermando, così, la sentenza impugnata.

La c.d. "fuitina" è stata oggetto di trattazione da parte dei Giudici di Piazza Cavour anche con la sentenza n.5175/12, a mezzo della quale gli ermellini hanno affermato che la decisione del tribunale ecclesiastico che annulla il matrimonio può essere delibata dal giudice italiano con effetti immediati nel nostro ordinamento. In pratica, se la decisione di unirsi in matrimonio è stata determinata soltanto dalla necessità di "rimediare all'errore" di una gravidanza inattesa si può ottenere l'annullamento.

Il caso trattato dalla Corte riguardava una coppia napoletana che, per la gravidanza indesiderata, aveva prima deciso di sposarsi e poi, a meno di un anno dalle nozze, si era separata.

La donna presentava ricorso in Cassazione per impedire la deliberazione della sentenza ecclesiastica ma la Suprema Corte, rigettato il ricorso della neo sposa, ha reso definitiva la decisione della Sacra Rota.

I Supremi Giudici hanno condiviso la decisione del TER in quanto "la scelta matrimoniale era stata dettata dall'intento di riparare all'errore commesso (nel concepimento del figlio)".

La Corte, ha fatto anche notare che il comportamento avuto dalla coppia dimostrava come la scelta di convolare a nozze fosse appunto dettata solo dall'intento di riparare all'errore commesso piuttosto che a volere realmente vivere insieme per tutta la vita.

Accanto al matrimonio civile e a quello concordatario, l'ordinamento riconosce un'ulteriore forma matrimoniale che non si pone, però, quale tertium genus, bensì unicamente come variante al matrimonio civile nell'atto della celebrazione. Trattasi dei matrimoni celebrati dinanzi ad un ministro di culto acattolico ammesso nello Stato che, ex art. 83 c.c., sono regolati dalle medesime disposizioni previste per il matrimonio civile, salva l'applicazione della disciplina speciale eventualmente derivante dalle intese raggiunte tra lo Stato italiano e le rispettive religioni (art. 8 comma III Cost.). Il matrimonio degli acattolici è in sostanza un matrimonio civile, salva la diversa forma della celebrazione. Per essere valida, la celebrazione di un matrimonio acattolico deve avvenire dinanzi ad un ministro autorizzato dall'ufficiale di stato civile, avente la cittadinanza italiana, e la cui nomina deve essere stata approvata dal Ministro degli Interni.

Nel caso della religione islamica non è stata ancora raggiunta nessuna intesa, a causa della mancanza di un'organizzazione unitaria che rappresenti le comunità islamiche in Italia.

Il matrimonio simbolico è una cerimonia che non ha valore legale. Per questo motivo non deve rispettare nessun obbligo o iter burocratico come descritti in precedenza. L'unica cosa che deve rispettare sono i gusti, le personalità e, soprattutto, le ritualità significative per gli sposi.

Tutto questo avviene per quanto riguarda la fisiologia del rapporto, il matrimonio, ma è appena il caso di fare un breve cenno al momento patologico del matrimonio, vale a dire alla separazione ed al divorzio.

Con la separazione personale, i coniugi decidono di sospendere gli effetti giuridici del matrimonio, ponendo il rapporto coniugale in uno stato di quiescenza. Infatti, la separazione non comporta l'estinzione del vincolo coniugale, bensì un'attenuazione dei diritti e dei doveri che derivano dallo stesso: sul piano personale, si ha sospensione dell'obbligo di coabitazione e degli obblighi di fedeltà e di collaborazione; sul piano patrimoniale, è causa di scioglimento della comunione legale e incide sulle modalità di assolvimento dell'obbligo di assistenza materiale. La separazione può essere consensuale o giudiziale: entrambe rappresentano forme legali di separazione, che si fondano su un atto giurisdizionale, volontario o contenzioso. Pertanto, entrambe presuppongono l'intervento di un giudice ma: la separazione giudiziale può avvenire su domanda unilaterale di un coniuge, senza che tra gli stessi vi sia accordo; la separazione consensuale presuppone invece un accordo tra i coniugi avente ad oggetto non solo il fatto stesso della separazione, ma anche le modalità della stessa, per quanto riguarda in particolare l'affidamento della prole e gli aspetti economici. Dalla separazione legale si distingue la separazione di fatto, che si configura quando i coniugi decidono, di comune accordo o meno, di interrompere la propria convivenza, senza ricorrere al giudice. Ai sensi dell'art. 151 c.c., per poter proporre domanda di separazione giudiziale è sufficiente il verificarsi di fatti tali da rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza, anche indipendentemente dalla volontà di uno o entrambi i coniugi, o da recare grave pregiudizio all'educazione della prole. Il secondo comma dell'art. 151 prevede la possibilità per il giudice di dichiarare a quale dei due coniugi sia addebitabile la separazione. 

Nello specifico, ai fini dell'addebito, non è sufficiente il verificarsi di una situazione intollerabile, ma è necessario che tale situazione derivi dalla violazione consapevole da parte di uno dei coniugi dei doveri derivanti dal matrimonio. Il coniuge al quale sia addebitata la separazione perde il diritto all'assegno di mantenimento ed ogni diritto successorio, salvo il diritto agli alimenti qualora privo di mezzi di sostentamento. 

Nessuna conseguenza deriva invece riguardo all'affidamento della prole. Il giudice, pronunciando la separazione, stabilisce, a vantaggio del coniuge cui non sia addebitabile la separazione, il diritto di ricevere dall'altro coniuge quanto è necessario al suo mantenimento, qualora non abbia adeguati redditi propri. Ciò al fine di garantire al coniuge separato il mantenimento del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio: questo tenore di vita non è solo quello effettivamente goduto ma anche quello meramente potenziale, non avendo rilievo il più modesto stile di vita eventualmente subito o tollerato dalle parti. Nonostante sia intervenuta la separazione, i figli minori hanno diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori, di ricevere cura, educazione, istruzione e assistenza morale da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale. Per realizzare questa finalità, l'art. 337 bis prevede che il giudice adotta i provvedimenti relativi ai figli minori ivi compreso, in caso di temporanea impossibilità di affidare il minore ad uno dei genitori, l'affidamento familiare. Nei confronti della prole, entrambi i genitori esercitano la responsabilità genitoriale e, dunque, le decisioni di maggiore interesse per i figli, riguardanti l'istruzione, l'educazione, la salute e la scelta della residenza abituale dei minori sono assunte di comune accordo, tenendo conto delle capacità, dell'inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli (3). 

Per quanto riguarda il profilo economico, ciascuno dei genitori provvede al mantenimento dei figli proporzionalmente al proprio reddito. Se necessario, il giudice può stabilire che venga erogato un assegno periodico il cui ammontare è determinato considerando: le attuali esigenze dei figli; il tenore di vita goduto dalla prole in costanza di convivenza con entrambi i genitori; i tempi di permanenza presso ciascun genitore; le risorse economiche di entrambi i genitori; la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore. Inoltre, il giudice può disporre l'affidamento dei figli ad uno solo dei genitori qualora ritenga, con provvedimento motivato, che l'affidamento dell'altro sia contrario all'interesse del minore (c.d. affidamento esclusivo). 

Il genitore al quale non sono affidati figli mantiene comunque il diritto e il dovere di vigilare sulla loro istruzione ed educazione e può ricorrere al giudice quando ritenga che siano state assunte decisioni pregiudizievoli al loro interesse. Spesso, a seguito della separazione, si pone il problema dell'assegnazione della casa familiare, la cui disciplina ha subito delle modifiche ad opera della L. 54/2006, con l'introduzione dell'art. 155 quater e, in seguito, del D.Lgs. 154/2013 il quale ha introdotto, in sua sostituzione, l'art. 337 sexies c.c. Quest'ultima disposizione prevede che il godimento della casa familiare è attribuito tenendo prioritariamente conto dell'interesse dei figli. La separazione legale può essere anche di natura consensuale. Essa presuppone l'accordo delle parti sulla volontà di vivere separati, il quale rileva giuridicamente una volta ottenuta l'omologazione del tribunale. Il procedimento di omologazione è dunque un procedimento di volontaria giurisdizione, in quanto il giudice non interviene per dirimere un conflitto in corso ma in funzione di convalida della volontà delle parti. L'atto di separazione deve ritenersi valido anche se non contiene disposizioni riguardanti i diritti patrimoniali e i rapporti con i figli aventi diritto al mantenimento, sulla cui regolamentazione i coniugi possono rinviare ad un momento successivo, ovvero chiedere al giudice di adottare i necessari provvedimenti. Occorre precisare che per le soluzioni consensuali di separazione personale, di cessazione degli effetti civili o di scioglimento del matrimonio, nonché di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio, il nostro ordinamento prevede la procedura di negoziazione assistita da un avvocato (introdotta con il D.L. 132/2014, convertito in L. 162/2014). Questo procedimento prevede la stipulazione di una convenzione di negoziazione assistita. Nello specifico, in mancanza di figli minori, di figli maggiorenni incapaci o portatori di handicap grave ovvero economicamente non autosufficienti, l'accordo raggiunto a seguito di convenzione di negoziazione assistita è trasmesso al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale competente il quale, quando non ravvisa irregolarità, comunica agli avvocati il nullaosta per gli adempimenti necessari. In presenza di figli minori, di figli maggiorenni incapaci o portatori di handicap grave ovvero economicamente non autosufficienti, l'accordo raggiunto deve essere trasmesso entro il termine di 10 giorni al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale competente il quale, quando ritiene che l'accordo risponde all'interesse dei figli, lo autorizza. Quando ritiene l'accordo non rispondente all'interesse dei figli, il Procuratore lo trasmette, entro cinque giorni, al Presidente del Tribunale il quale fissa entro i successivi trenta giorni la comparizione delle parti e provvede senza ritardo. L'accordo raggiunto produce gli stessi effetti e ha lo stesso valore della sentenza del giudice. L'unica ipotesi di scioglimento legale del rapporto coniugale è il divorzio. In caso di matrimonio concordatario, la legge parla non di scioglimento bensì di cessazione degli effetti civili, in tal modo sottolineando l'intangibilità del vincolo religioso che rimane integro anche a seguito della pronuncia di divorzio. Il divorzio pone fine al vincolo coniugale ed estingue i doveri relativi allo stato di coniuge. Pertanto, gli ex coniugi riacquistano lo stato libero e possono contrarre un nuovo matrimonio. Ai sensi dell'art. 1 della legge sul divorzio, il divorzio è ammissibile solo quando la comunione spirituale e materiale tra i coniugi non può essere mantenuta o ricostituita. È necessaria tuttavia la sussistenza di uno dei presupposti specificamente indicati dalla legge - i quali sono dunque necessari e tassativi - non potendosi giungere ad una pronuncia di divorzio in difetto di almeno uno di essi. Questi presupposti sono:

➔ casi di condanna penale di uno dei coniugi, dopo la celebrazione del matrimonio, anche per fatti commessi in precedenza: all'ergastolo o ad una pena superiore ad anni 15 per uno o più delitti non colposi, esclusi i reati politici e quelli commessi per motivi di particolare valore morale e sociale; a qualsiasi pena detentiva per il delitto di incesto, per induzione, costrizione, sfruttamento o favoreggiamento della prostituzione; a qualsiasi pena per omicidio volontario di un figlio o per tentato omicidio a danno del coniuge o di un figlio; a qualsiasi pena detentiva per il delitto di maltrattamenti contro familiari o conviventi;

➔ altri fatti preclusivi della comunione spirituale e materiale. Condizione di proponibilità della domanda di divorzio è che la separazione si protragga ininterrottamente da almeno 12 mesi dall'avvenuta comparizione dei coniugi innanzi al Presidente del Tribunale nella procedura di separazione giudiziale e da sei mesi nel caso di separazione consensuale. Prima delle modifiche apportate dalla legge sul divorzio breve (L. 55/2015), il termine era di tre anni. Vi è la possibilità che il giudice, con la sentenza di divorzio, disponga l'obbligo a carico di un coniuge di somministrare periodicamente a favore dell'altro un assegno, quando quest'ultimo non abbia mezzi adeguati o non possa procurarseli per ragioni oggettive. Nella determinazione del quantum dell'assegno di divorzio, il giudice dovrà tener conto delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione, del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare. Per effetto di una pronuncia della Cassazione di maggio 2017, l'assegno di divorzio non è più parametrato al tenore di vita goduto dai coniugi in costanza di matrimonio. Esso, dunque, deve essere ora determinato nel suo ammontare avuto riguardo alle capacità economiche del coniuge beneficiario, avuto riguardo all'età, alle condizioni di salute ed alle concrete possibilità di trovare un impiego lavorativo. Qualora sopraggiungano giustificati motivi dopo la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, il tribunale può, su istanza di parte, disporre la revisione delle disposizioni riguardanti la misura e la modalità di corresponsione dell'assegno (4).

Con riferimento alle summenzionate unioni civili, è appena il caso di evidenziare che il rito consiste nel rilasciare le rispettive dichiarazioni davanti all'Ufficiale dello Stato Civile alla presenza di due testimoni. È questo il rito delineato nel comma 2 dell'art. 1 della legge n. 76/2016. Vi è un'identità solo parziale con la disposizione dell'art. 107 c.c., evidentemente per stabilire delle differenze fra la celebrazione del matrimonio e le formalità da assolvere per attuare sul piano giuridico la formazione del consortium ora permesso anche alle persone del medesimo sesso. Diversamente dalla celebrazione del matrimonio la costituzione dell'unione civile è stata concepita come atto nel quale l'Ufficiale dello Stato Civile svolge essenzialmente il ruolo di ricevente delle dichiarazioni delle parti. L'Ufficiale dello Stato Civile di nulla dà lettura e dunque non è latore di alcuna indicazione sugli effetti della costituzione dell'unione civile, effetti pure espressamente stabiliti nella legge n. 76/2016 (comma 11 e 12, art. 1). La scelta sembra essere stata ispirata non soltanto dall'esigenza di differenziare la costituzione delle unioni civili dal matrimonio (5) quasi a favorire un rito scarno e discreto, ma pure, se non soprattutto, dalla opportunità di stabilire che la dichiarazione resa nelle forme previste dal comma 2 dell'art. 1 della legge n. 76/2016 sia finalizzata alla costituzione di un rapporto giuridico più che alla creazione di un'istituzione quale è la famiglia. Questa, del resto, anche secondo la Carta Europea dei Diritti dell'Uomo (art. 12) sembra riservata ancora alla qualificazione di relazioni affettive tra un uomo ed una donna.

Da ultimo, è appena il caso di rappresentare che la nuova moda che sta spopolando in Italia è quella di sposarsi con rito celtico. Il matrimonio celtico è un rito pagano molto antico, le origini dei celti infatti risalgono all'Età del ferro. Per questa popolazione misteriosissima la natura era alla base dell'esistenza: essi sostenevano che l'anima di un uomo si manifestasse non solo all'interno del corpo ma anche tra gli alberi, i ruscelli, le rocce e il sole, e che quindi fosse un tutt'uno con lo spirito della terra. I loro matrimoni infatti si celebravano in mezzo alla natura, esaltando così questo significato e creando uno stretto legame con l'anima della foresta. Il Vincolo Sacro doveva essere necessariamente presidiato da un sacerdote, un Druido, che faceva da tramite tra l'uomo e gli dei. L'atto sacro di unione inizia sette giorni prima, la coppia in procinto di sposarsi, la settimana antecedente le nozze, attua una serie di atti purificatori richiamando concretamente i quattro elementi della natura, aria, terra, fuoco e acqua. La cerimonia vera e propria è celebrata in un bosco ove gli elementi dell'acqua e della terra sono in sintonia con la natura. Alcune pietre vengono disposte in cerchio e si inizia con il rituale chiamato handfasting.

Gli sposi, uno di fronte all'altra occhi negli occhi, si tengono le mani che saranno poi avvolte insieme da una corda cerimoniale, preferibilmente di colore bianco e rosso (Dea e Dio, Femminile e Maschile), che simboleggia il loro vincolo di unione.

La coppia si dovrà occupare dell'allestimento dell'altare e delle offerte destinate agli spiriti guardiani dei luoghi e alle energie che generano l'invidia e la negatività. Queste infatti, una volta convocate e "sfamate" si allontaneranno dalla celebrazione e quindi anche dagli sposi. Il rituale si conclude, come tutte le cerimonie, con la benedizione del sacerdote, il Druido, che userà una delle piante più antiche e sacre della cultura druidica, il vischio ed il falcetto catalizzatore delle energie divine femminili e maschili.

Inizieranno così i banchetti con cinghiale ed idromele, più noto come la bevanda degli dei, e festose danze circolari che rappresenteranno la continuità del tempo, al suono di una magica e romantica arpa.

Orbene, è d'obbligo specificare che attualmente "l'unione celtica" è considerata dall'ordinamento italiano prettamente simbolica e non ha pertanto alcun valore legale se non inserita all'interno della cerimonia civile in location. Ai sensi del il DPR n. 396 del 3 novembre 2000 all'articolo 1, comma 3, per il ricevimento del giuramento di cui all'articolo 10 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, e per la celebrazione del matrimonio, le funzioni di ufficiale dello stato civile possono essere delegate anche a uno o più consiglieri o assessori comunali o a cittadini italiani che hanno i requisiti per la elezione a consigliere comunale. Quindi qualunque cittadino eleggibile può celebrarlo. Solo inserendo un momento "civile" all'interno del rito, è possibile dare valenza alle promesse fatte.

_________________________

1 Riccardo Orestano, La struttura giuridica del matrimonio romano, dal diritto classico al diritto giustinianeo, in Bullettino dell'Istituto di diritto romano "Vittorio Scialoja" (1940 e 1941), pp. 113 e ss.

2 Prima Sezione Civile del 12 novembre 2013 - 24 febbraio 2014, n. 4387

3 F. LONGO, Guida pratica all'affidamento condiviso ed esclusivo dei minori, n. 1/2019, in www.corsopraticodidiritto/thelegaljournal

4 F. LONGO -F. MASI, op. cit., pp. 25 e ss.

5 L'art. 107 c.c. prevede che l'Ufficiale dello Stato Civile legga gli artt. 143, 144 e 147 c.c., indicando le conseguenze della celebrazione del matrimonio, stabilendo altresì che, ricevuta la dichiarazione dei nubendi, li dichiara marito e moglie. Per la costituzione della unione civile, invece, l'Ufficiale dello Stato Civile riceve la dichiarazione dei costituendi. Si è, nei primi commenti alla legge n. 76/2016, rilevato che il legislatore ha cercato di omologare la unione civile al matrimonio, pur lasciandola figura separata: E. QUADRI, "Unioni civili tra persone dello stesso sesso" e "convivenze": il non facile ruolo che la nuova legge affida all'interprete, in Corr. giur., 2016, p. 893Il matrimonio civile è quello regolato dal codice civile e dalle leggi speciali. Il rito civile si svolge alla presenza di un Ufficiale di Stato Civile (generalmente il sindaco del Comune in cui si svolge la celebrazione, oppure da persona delegata) e di almeno uno (massimo due) testimoni per parte.

Affinché il rito acquisti valore legale, il celebrante deve adempiere ad alcuni obblighi:

  • dare lettura degli articoli del Codice Civile n. 143, 144 e 147 che regolano, nel nostro ordinamento giuridico, l'istituto del matrimonio;

  • ricevere, da ciascuna delle parti, una dopo l'altra, la dichiarazione di volontà di contrarre matrimonio;

  • dichiarare l'avvenuta unione;

  • far apporre le firme, sugli atti ufficiali, da parte sia degli sposi che dei testimoni.

Non è obbligatorio lo scambio degli anelli.

Il matrimonio religioso ha un valore spirituale per la confessione di riferimento e può essere integrato dal riconoscimento civile. Esistono però alcune differenze a seconda delle confessioni. Con riferimento al matrimonio religioso bisogna innanzitutto evidenziare che nel cristianesimo la negazione dell'elemento materiale è stata secondaria e contingente, per spiegare la natura coniugale del rapporto tra San Giuseppe e la Madre di Gesù. L'esaltazione dell'elemento spirituale del matrimonio operata dal cristianesimo non ha nulla a che fare con "l'elemento spirituale" inteso nel senso di elemento giuridicamente costitutivo dello stesso e indipendente da ogni oggettivo comportamento. La dottrina e la prassi della Chiesa hanno richiesto, in maniera sempre più pressante e rigorosa, che il segno e la grazia sacramentale dell'unione andassero congiunti a situazioni di fatto sempre più obiettivamente certi1. I primi spunti di una concezione contrattuale del matrimonio per le fonti canoniche si rinvengono già in Graziano, ma è solo con il Concilio di Trento (1545-1563) che si fissarono definitivamente i termini della dottrina del matrimonio come contratto-sacramento.

Con i Patti Lateranensi del 1929 è stata reintrodotta, dopo la parentesi liberale, una competenza ecclesiastica nella materia matrimoniale, con la previsione del matrimonio concordatario.

Tale forma di matrimonio ha la funzione precisa di evitare ai cattolici la necessità di celebrare due distinti riti, uno religioso e uno avente rilevanza civile. Prima della riforma, infatti, coloro che avessero contratto esclusivamente matrimonio canonico sarebbero stati considerati alla stregua di conviventi more uxorio da parte dell'ordinamento statuale. Nel matrimonio concordatario il matrimonio come atto è regolato in tutti i suoi aspetti dal diritto canonico (cosicché le eventuali cause di invalidità saranno giudicate dal giudice ecclesiastico); come rapporto, invece, resta regolato dal giudice civile. Nel caso di rito Cattolico, grazie al Concordato del 1929 e riveduto nel 1984, il matrimonio è disciplinato dal diritto canonico, ma i sacerdoti sono delegati ad adempiere anche agli obblighi comportati dall'atto civile. Ai fini del riconoscimento di effetti civili nell'ambito dell'ordinamento statuale, il matrimonio concordatario dovrà rispettare determinate formalità, specificate dall'art. 8 dell'Accordo modificativo del Concordato, stipulato nel 1984 e ratificato con L. n. 121 del 1985, nonché all'art. 4 del Protocollo addizionale.

Perciò, al termine del rito religioso, il sacerdote provvede ad informare gli sposi che il matrimonio ha anche effetti civili, alla lettura degli articoli succitati e a fare apporre le firme sul certificato che, successivamente e nel termine di 5 giorni dall'avvenuta cerimonia, provvederà a trasmettere all'ufficiale di stato civile. In questo modo l'unione potrà essere trascritta agli atti ed avere effetto costitutivo (con effetto retroattivo dalla data della celebrazione).

Per questi motivi, in termini pratici, i nubendi dovranno registrare doppie pubblicazioni prima di poter convogliare a nozze, in chiesa e in comune. Nel caso di rito non Cattolico, lo Stato Italiano ha stipulato intese con buona parte delle confessioni riconosciute, facilitando così gli adempimenti richiesti per dare validità civile all'atto. In questi casi i ministri di culto celebrano come delegati dell'ufficiale di stato civile. Restano perciò gli obblighi del matrimonio autentico (lettura degli articoli, firme e trascrizione agli atti entro 5 giorni, ecc.). Non servono doppie pubblicazioni perché, in questi casi, il matrimonio ha solamente validità civile.

Secondo la legge matrimoniale (art. 8), le sentenze di nullità del matrimonio pronunciate dai tribunali ecclesiastici, munite del decreto di esecutività dell'organo ecclesiastico superiore di controllo, saranno dichiarate efficaci nell'ordinamento italiano su domanda di parte e con sentenza della Corte d'appello competente.

Il rapporto tra la giurisdizione ecclesiastica e quella civile in materia matrimoniale è sempre stato un rapporto intrecciato come dimostra anche la sentenza della Suprema Corte di Cassazione2, in cui è stato trattato un caso di "matrimonio riparatore" che è stato annullato dai giudici ecclesiastici ma non da quelli civili.

In poche parole, la Corte d'Appello dell'Aquila ha rigettato la domanda di declaratoria di efficacia della sentenza canonica di nullità del matrimonio pronunciata il 12 dicembre 2007 dal Tribunale Ecclesiastico Regionale Abruzzese di Chieti, ratificata dal Tribunale Ecclesiastico d'Appello di Benevento con decreto del 28 aprile 2010 e resa esecutiva dal Tribunale della Segnatura Apostolica con decreto del 1 febbraio 2011.

Il Tribunale Ecclesiastico Regionale aveva dichiarato nulla l'unione matrimoniale per esclusione dell'indissolubilità nell'uomo attore. A sostegno della decisione la Corte d'Appello ha affermato:

a) la delibazione delle sentenze ecclesiastiche per ogni tipo di vizio o mancanza del consenso trova ostacolo nel principio di ordine pubblico costituito dall'ineludibile tutela della buona fede e dell'affidamento incolpevole dell'altro coniuge, in tutti i casi in cui l'esclusione dei bona matrimonii o l'apposizione di una condizione siano rimasti nella sfera psichica di uno dei nubendi e non siano stati conosciuti o conoscibili dall'altro coniuge;

b) l'accertamento della conoscenza o della conoscibilità del fatto che ha determinato la mancanza o il vizio del consenso matrimoniale da parte di un coniuge è riservato al giudice della delibazione, anche se sulla esclusiva base della sentenza e degli atti del processo canonico;

c) il giudice della delibazione, pur non potendo mettere in dubbio l'esistenza dell'esclusione o della condizione del foro interno dell'attore, in quanto accertata dal giudice ecclesiastico, deve comunque accertare in modo particolarmente rigoroso che il coniuge, che abbia inteso escludere uno dei bona matrimonii o subordinare a condizione il matrimonio, abbia fatto partecipe in modo espresso o per fatti concludenti l'altro coniuge;

d) dal materiale istruttorio del processo canonico non si rinviene alcun riferimento neppure indiretto alla conoscenza o conoscibilità dell'esclusione dell'indissolubilità del matrimonio da parte del coniuge nè lo si può desumere dai riscontri provenienti da deposizioni testimoniali.

Avverso tale pronuncia è stato proposto ricorso per cassazione il quale è stato dichiarato inammissibile confermando, così, la sentenza impugnata.

La c.d. "fuitina" è stata oggetto di trattazione da parte dei Giudici di Piazza Cavour anche con la sentenza n.5175/12, a mezzo della quale gli ermellini hanno affermato che la decisione del tribunale ecclesiastico che annulla il matrimonio può essere delibata dal giudice italiano con effetti immediati nel nostro ordinamento. In pratica, se la decisione di unirsi in matrimonio è stata determinata soltanto dalla necessità di "rimediare all'errore" di una gravidanza inattesa si può ottenere l'annullamento.

Il caso trattato dalla Corte riguardava una coppia napoletana che, per la gravidanza indesiderata, aveva prima deciso di sposarsi e poi, a meno di un anno dalle nozze, si era separata.

La donna presentava ricorso in Cassazione per impedire la deliberazione della sentenza ecclesiastica ma la Suprema Corte, rigettato il ricorso della neo sposa, ha reso definitiva la decisione della Sacra Rota.

I Supremi Giudici hanno condiviso la decisione del TER in quanto "la scelta matrimoniale era stata dettata dall'intento di riparare all'errore commesso (nel concepimento del figlio)".

La Corte, ha fatto anche notare che il comportamento avuto dalla coppia dimostrava come la scelta di convolare a nozze fosse appunto dettata solo dall'intento di riparare all'errore commesso piuttosto che a volere realmente vivere insieme per tutta la vita.

Accanto al matrimonio civile e a quello concordatario, l'ordinamento riconosce un'ulteriore forma matrimoniale che non si pone, però, quale tertium genus, bensì unicamente come variante al matrimonio civile nell'atto della celebrazione. Trattasi dei matrimoni celebrati dinanzi ad un ministro di culto acattolico ammesso nello Stato che, ex art. 83 c.c., sono regolati dalle medesime disposizioni previste per il matrimonio civile, salva l'applicazione della disciplina speciale eventualmente derivante dalle intese raggiunte tra lo Stato italiano e le rispettive religioni (art. 8 comma III Cost.). Il matrimonio degli acattolici è in sostanza un matrimonio civile, salva la diversa forma della celebrazione. Per essere valida, la celebrazione di un matrimonio acattolico deve avvenire dinanzi ad un ministro autorizzato dall'ufficiale di stato civile, avente la cittadinanza italiana, e la cui nomina deve essere stata approvata dal Ministro degli Interni.

Nel caso della religione islamica non è stata ancora raggiunta nessuna intesa, a causa della mancanza di un'organizzazione unitaria che rappresenti le comunità islamiche in Italia.

Il matrimonio simbolico è una cerimonia che non ha valore legale. Per questo motivo non deve rispettare nessun obbligo o iter burocratico come descritti in precedenza. L'unica cosa che deve rispettare sono i gusti, le personalità e, soprattutto, le ritualità significative per gli sposi.

Tutto questo avviene per quanto riguarda la fisiologia del rapporto, il matrimonio, ma è appena il caso di fare un breve cenno al momento patologico del matrimonio, vale a dire alla separazione ed al divorzio.

Con la separazione personale, i coniugi decidono di sospendere gli effetti giuridici del matrimonio, ponendo il rapporto coniugale in uno stato di quiescenza. Infatti, la separazione non comporta l'estinzione del vincolo coniugale, bensì un'attenuazione dei diritti e dei doveri che derivano dallo stesso: sul piano personale, si ha sospensione dell'obbligo di coabitazione e degli obblighi di fedeltà e di collaborazione; sul piano patrimoniale, è causa di scioglimento della comunione legale e incide sulle modalità di assolvimento dell'obbligo di assistenza materiale. La separazione può essere consensuale o giudiziale: entrambe rappresentano forme legali di separazione, che si fondano su un atto giurisdizionale, volontario o contenzioso. Pertanto, entrambe presuppongono l'intervento di un giudice ma: la separazione giudiziale può avvenire su domanda unilaterale di un coniuge, senza che tra gli stessi vi sia accordo; la separazione consensuale presuppone invece un accordo tra i coniugi avente ad oggetto non solo il fatto stesso della separazione, ma anche le modalità della stessa, per quanto riguarda in particolare l'affidamento della prole e gli aspetti economici. Dalla separazione legale si distingue la separazione di fatto, che si configura quando i coniugi decidono, di comune accordo o meno, di interrompere la propria convivenza, senza ricorrere al giudice. Ai sensi dell'art. 151 c.c., per poter proporre domanda di separazione giudiziale è sufficiente il verificarsi di fatti tali da rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza, anche indipendentemente dalla volontà di uno o entrambi i coniugi, o da recare grave pregiudizio all'educazione della prole. Il secondo comma dell'art. 151 prevede la possibilità per il giudice di dichiarare a quale dei due coniugi sia addebitabile la separazione. Nello specifico, ai fini dell'addebito, non è sufficiente il verificarsi di una situazione intollerabile, ma è necessario che tale situazione derivi dalla violazione consapevole da parte di uno dei coniugi dei doveri derivanti dal matrimonio. Il coniuge al quale sia addebitata la separazione perde il diritto all'assegno di mantenimento ed ogni diritto successorio, salvo il diritto agli alimenti qualora privo di mezzi di sostentamento. Nessuna conseguenza deriva invece riguardo all'affidamento della prole. Il giudice, pronunciando la separazione, stabilisce, a vantaggio del coniuge cui non sia addebitabile la separazione, il diritto di ricevere dall'altro coniuge quanto è necessario al suo mantenimento, qualora non abbia adeguati redditi propri. Ciò al fine di garantire al coniuge separato il mantenimento del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio: questo tenore di vita non è solo quello effettivamente goduto ma anche quello meramente potenziale, non avendo rilievo il più modesto stile di vita eventualmente subito o tollerato dalle parti. Nonostante sia intervenuta la separazione, i figli minori hanno diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori, di ricevere cura, educazione, istruzione e assistenza morale da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale. Per realizzare questa finalità, l'art. 337 bis prevede che il giudice adotta i provvedimenti relativi ai figli minori ivi compreso, in caso di temporanea impossibilità di affidare il minore ad uno dei genitori, l'affidamento familiare. Nei confronti della prole, entrambi i genitori esercitano la responsabilità genitoriale e, dunque, le decisioni di maggiore interesse per i figli, riguardanti l'istruzione, l'educazione, la salute e la scelta della residenza abituale dei minori sono assunte di comune accordo, tenendo conto delle capacità, dell'inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli3. Per quanto riguarda il profilo economico, ciascuno dei genitori provvede al mantenimento dei figli proporzionalmente al proprio reddito. Se necessario, il giudice può stabilire che venga erogato un assegno periodico il cui ammontare è determinato considerando: le attuali esigenze dei figli; il tenore di vita goduto dalla prole in costanza di convivenza con entrambi i genitori; i tempi di permanenza presso ciascun genitore; le risorse economiche di entrambi i genitori; la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore. Inoltre, il giudice può disporre l'affidamento dei figli ad uno solo dei genitori qualora ritenga, con provvedimento motivato, che l'affidamento dell'altro sia contrario all'interesse del minore (c.d. affidamento esclusivo). Il genitore al quale non sono affidati figli mantiene comunque il diritto e il dovere di vigilare sulla loro istruzione ed educazione e può ricorrere al giudice quando ritenga che siano state assunte decisioni pregiudizievoli al loro interesse. Spesso, a seguito della separazione, si pone il problema dell'assegnazione della casa familiare, la cui disciplina ha subito delle modifiche ad opera della L. 54/2006, con l'introduzione dell'art. 155 quater e, in seguito, del D.Lgs. 154/2013 il quale ha introdotto, in sua sostituzione, l'art. 337 sexies c.c. Quest'ultima disposizione prevede che il godimento della casa familiare è attribuito tenendo prioritariamente conto dell'interesse dei figli. La separazione legale può essere anche di natura consensuale. Essa presuppone l'accordo delle parti sulla volontà di vivere separati, il quale rileva giuridicamente una volta ottenuta l'omologazione del tribunale. Il procedimento di omologazione è dunque un procedimento di volontaria giurisdizione, in quanto il giudice non interviene per dirimere un conflitto in corso ma in funzione di convalida della volontà delle parti. L'atto di separazione deve ritenersi valido anche se non contiene disposizioni riguardanti i diritti patrimoniali e i rapporti con i figli aventi diritto al mantenimento, sulla cui regolamentazione i coniugi possono rinviare ad un momento successivo, ovvero chiedere al giudice di adottare i necessari provvedimenti. Occorre precisare che per le soluzioni consensuali di separazione personale, di cessazione degli effetti civili o di scioglimento del matrimonio, nonché di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio, il nostro ordinamento prevede la procedura di negoziazione assistita da un avvocato (introdotta con il D.L. 132/2014, convertito in L. 162/2014). Questo procedimento prevede la stipulazione di una convenzione di negoziazione assistita. Nello specifico, in mancanza di figli minori, di figli maggiorenni incapaci o portatori di handicap grave ovvero economicamente non autosufficienti, l'accordo raggiunto a seguito di convenzione di negoziazione assistita è trasmesso al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale competente il quale, quando non ravvisa irregolarità, comunica agli avvocati il nullaosta per gli adempimenti necessari. In presenza di figli minori, di figli maggiorenni incapaci o portatori di handicap grave ovvero economicamente non autosufficienti, l'accordo raggiunto deve essere trasmesso entro il termine di 10 giorni al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale competente il quale, quando ritiene che l'accordo risponde all'interesse dei figli, lo autorizza. Quando ritiene l'accordo non rispondente all'interesse dei figli, il Procuratore lo trasmette, entro cinque giorni, al Presidente del Tribunale il quale fissa entro i successivi trenta giorni la comparizione delle parti e provvede senza ritardo. L'accordo raggiunto produce gli stessi effetti e ha lo stesso valore della sentenza del giudice. L'unica ipotesi di scioglimento legale del rapporto coniugale è il divorzio. In caso di matrimonio concordatario, la legge parla non di scioglimento bensì di cessazione degli effetti civili, in tal modo sottolineando l'intangibilità del vincolo religioso che rimane integro anche a seguito della pronuncia di divorzio. Il divorzio pone fine al vincolo coniugale ed estingue i doveri relativi allo stato di coniuge. Pertanto, gli ex coniugi riacquistano lo stato libero e possono contrarre un nuovo matrimonio. Ai sensi dell'art. 1 della legge sul divorzio, il divorzio è ammissibile solo quando la comunione spirituale e materiale tra i coniugi non può essere mantenuta o ricostituita. È necessaria tuttavia la sussistenza di uno dei presupposti specificamente indicati dalla legge - i quali sono dunque necessari e tassativi - non potendosi giungere ad una pronuncia di divorzio in difetto di almeno uno di essi. Questi presupposti sono:

➔ casi di condanna penale di uno dei coniugi, dopo la celebrazione del matrimonio, anche per fatti commessi in precedenza: all'ergastolo o ad una pena superiore ad anni 15 per uno o più delitti non colposi, esclusi i reati politici e quelli commessi per motivi di particolare valore morale e sociale; a qualsiasi pena detentiva per il delitto di incesto, per induzione, costrizione, sfruttamento o favoreggiamento della prostituzione; a qualsiasi pena per omicidio volontario di un figlio o per tentato omicidio a danno del coniuge o di un figlio; a qualsiasi pena detentiva per il delitto di maltrattamenti contro familiari o conviventi;

➔ altri fatti preclusivi della comunione spirituale e materiale. Condizione di proponibilità della domanda di divorzio è che la separazione si protragga ininterrottamente da almeno 12 mesi dall'avvenuta comparizione dei coniugi innanzi al Presidente del Tribunale nella procedura di separazione giudiziale e da sei mesi nel caso di separazione consensuale. Prima delle modifiche apportate dalla legge sul divorzio breve (L. 55/2015), il termine era di tre anni. Vi è la possibilità che il giudice, con la sentenza di divorzio, disponga l'obbligo a carico di un coniuge di somministrare periodicamente a favore dell'altro un assegno, quando quest'ultimo non abbia mezzi adeguati o non possa procurarseli per ragioni oggettive. Nella determinazione del quantum dell'assegno di divorzio, il giudice dovrà tener conto delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione, del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare. Per effetto di una pronuncia della Cassazione di maggio 2017, l'assegno di divorzio non è più parametrato al tenore di vita goduto dai coniugi in costanza di matrimonio. Esso, dunque, deve essere ora determinato nel suo ammontare avuto riguardo alle capacità economiche del coniuge beneficiario, avuto riguardo all'età, alle condizioni di salute ed alle concrete possibilità di trovare un impiego lavorativo. Qualora sopraggiungano giustificati motivi dopo la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, il tribunale può, su istanza di parte, disporre la revisione delle disposizioni riguardanti la misura e la modalità di corresponsione dell'assegno4.

Con riferimento alle summenzionate unioni civili è appena il caso di evidenziare che il rito consiste nel rilasciare le rispettive dichiarazioni davanti all'Ufficiale dello Stato Civile alla presenza di due testimoni. È questo il rito delineato nel comma 2 dell'art. 1 della legge n. 76/2016. Vi è un'identità solo parziale con la disposizione dell'art. 107 c.c., evidentemente per stabilire delle differenze fra la celebrazione del matrimonio e le formalità da assolvere per attuare sul piano giuridico la formazione del consortium ora permesso anche alle persone del medesimo sesso. Diversamente dalla celebrazione del matrimonio la costituzione dell'unione civile è stata concepita come atto nel quale l'Ufficiale dello Stato Civile svolge essenzialmente il ruolo di ricevente delle dichiarazioni delle parti. L'Ufficiale dello Stato Civile di nulla dà lettura e dunque non è latore di alcuna indicazione sugli effetti della costituzione dell'unione civile, effetti pure espressamente stabiliti nella legge n. 76/2016 (comma 11 e 12, art. 1). La scelta sembra essere stata ispirata non soltanto dall'esigenza di differenziare la costituzione delle unioni civili dal matrimonio5, quasi a favorire un rito scarno e discreto, ma pure, se non soprattutto, dalla opportunità di stabilire che la dichiarazione resa nelle forme previste dal comma 2 dell'art. 1 della legge n. 76/2016 sia finalizzata alla costituzione di un rapporto giuridico più che alla creazione di un'istituzione quale è la famiglia. Questa, del resto, anche secondo la Carta Europea dei Diritti dell'Uomo (art. 12) sembra riservata ancora alla qualificazione di relazioni affettive tra un uomo ed una donna.

Da ultimo, è appena il caso di rappresentare che la nuova moda che sta spopolando in Italia è quella di sposarsi con rito celtico. Il matrimonio celtico è un rito pagano molto antico, le origini dei celti infatti risalgono all'Età del ferro. Per questa popolazione misteriosissima la natura era alla base dell'esistenza: essi sostenevano che l'anima di un uomo si manifestasse non solo all'interno del corpo ma anche tra gli alberi, i ruscelli, le rocce e il sole, e che quindi fosse un tutt'uno con lo spirito della terra. I loro matrimoni infatti si celebravano in mezzo alla natura, esaltando così questo significato e creando uno stretto legame con l'anima della foresta. Il Vincolo Sacro doveva essere necessariamente presidiato da un sacerdote, un Druido, che faceva da tramite tra l'uomo e gli dei. L'atto sacro di unione inizia sette giorni prima, la coppia in procinto di sposarsi, la settimana antecedente le nozze, attua una serie di atti purificatori richiamando concretamente i quattro elementi della natura, aria, terra, fuoco e acqua. La cerimonia vera e propria è celebrata in un bosco ove gli elementi dell'acqua e della terra sono in sintonia con la natura. Alcune pietre vengono disposte in cerchio e si inizia con il rituale chiamato handfasting.

Gli sposi, uno di fronte all'altra occhi negli occhi, si tengono le mani che saranno poi avvolte insieme da una corda cerimoniale, preferibilmente di colore bianco e rosso (Dea e Dio, Femminile e Maschile), che simboleggia il loro vincolo di unione.

La coppia si dovrà occupare dell'allestimento dell'altare e delle offerte destinate agli spiriti guardiani dei luoghi e alle energie che generano l'invidia e la negatività. Queste infatti, una volta convocate e "sfamate" si allontaneranno dalla celebrazione e quindi anche dagli sposi. Il rituale si conclude, come tutte le cerimonie, con la benedizione del sacerdote, il Druido, che userà una delle piante più antiche e sacre della cultura druidica, il vischio ed il falcetto catalizzatore delle energie divine femminili e maschili.

Inizieranno così i banchetti con cinghiale ed idromele, più noto come la bevanda degli dei, e festose danze circolari che rappresenteranno la continuità del tempo, al suono di una magica e romantica arpa.

Orbene, è d'obbligo specificare che attualmente "l'unione celtica" è considerata dall'ordinamento italiano prettamente simbolica e non ha pertanto alcun valore legale se non inserita all'interno della cerimonia civile in location. Ai sensi del il DPR n. 396 del 3 novembre 2000 all'articolo 1, comma 3, per il ricevimento del giuramento di cui all'articolo 10 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, e per la celebrazione del matrimonio, le funzioni di ufficiale dello stato civile possono essere delegate anche a uno o più consiglieri o assessori comunali o a cittadini italiani che hanno i requisiti per la elezione a consigliere comunale. Quindi qualunque cittadino eleggibile può celebrarlo. Solo inserendo un momento "civile" all'interno del rito, è possibile dare valenza alle promesse fatte.

1 Riccardo Orestano, La struttura giuridica del matrimonio romano, dal diritto classico al diritto giustinianeo, in Bullettino dell'Istituto di diritto romano "Vittorio Scialoja" (1940 e 1941), pp. 113 e ss.

2 Prima Sezione Civile del 12 novembre 2013 - 24 febbraio 2014, n. 4387

3 F. LONGO, Guida pratica all'affidamento condiviso ed esclusivo dei minori, n. 1/2019, in www.corsopraticodidiritto/thelegaljournal

4 F. LONGO -F. MASI, op. cit., pp. 25 e ss.

5 L'art. 107 c.c. prevede che l'Ufficiale dello Stato Civile legga gli artt. 143, 144 e 147 c.c., indicando le conseguenze della celebrazione del matrimonio, stabilendo altresì che, ricevuta la dichiarazione dei nubendi, li dichiara marito e moglie. Per la costituzione della unione civile, invece, l'Ufficiale dello Stato Civile riceve la dichiarazione dei costituendi. Si è, nei primi commenti alla legge n. 76/2016, rilevato che il legislatore ha cercato di omologare la unione civile al matrimonio, pur lasciandola figura separata: E. QUADRI, "Unioni civili tra persone dello stesso sesso" e "convivenze": il non facile ruolo che la nuova legge affida all'interprete, in Corr. giur., 2016, p. 893