L'INTERESSE ALLA COSTITUZIONE DI UNA FORZA ARMATA EUROPEA A FRONTE DEI RECENTI FATTI AFGHANI
Avv. Federica Longo
Durante un'intervista effettuata dal Corriere della Sera all'Alto Rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza - Joseph Borrell - egli ha affermato la necessita di creare una forza di intervento rapido europea composta da circa 5000 unita' di personale da impiegare in occasione di crisi future, come quella recentemente avvenuta in Afghanistan (1).
In tal modo, la Initial Entry Force cosi' intesa dovrebbe essere idonea alla protezione degli interessi dell'Unione europea nel caso in cui gli americani non vogliano essere coinvolti.
Lo scorso maggio, ben quattordici Stati europei - tra cui Germania, Francia e Italia - avevano proposto di dotare l'Unione di una simile capacita' di intervento, in considerazione dell'ormai insensibile disimpegno degli Stati Uniti dalla geopolitica europea.
Come e' stato evidenziato da piu' parti, si tratta di un'idea tutt'altro che nuova, poiche' ripercorre senza troppi sforzi immaginativi la costituzione degli Battle Groups, creati nel 2007 a seguito della crisi dei Balcani (2).
In tale ambito, si puo' notare come la "chiamata alle armi" di Borrell sembri ricordare quella effettuata dal Segretario di Stato del governo Bush nel settembre 2002: "se la NATO non possiede una forza veloce e agile, in grado di schierarsi in giorni o settimane, invece che in mesi o anni, allora non avra' molto da offrire al mondo nel XXI Secolo".
Tale enunciazione era contemporanea alla proposta presentata, nello stesso mese, dagli USA all'Alleanza Atlantica, di istituire le NATO Response Forces (NRF) e di promuoverle quali veicolo principale della trasformazione delle forze armate nei Paesi membri dell'Alleanza, al fine di intervenire in ogni parte del mondo per la gestione delle crisi.
I Battle Groups europei e le NRF hanno subito la stessa fine. Difatti, entrambe non sono state mai impiegate nelle operazioni per cui erano state pensate. I primi erano di modesta entita' ed avevano un campo di azione alquanto ristretto: assistenza umanitaria, evacuazione, prevenzione dei conflitti, mentre erano escluse le Crisis Response Operations e il Peacekeeping, ovvero il reale core business di ogni formazione militare di tale genere. In via ulteriore, il raggio di operativita' non poteva oltrepassare 6.000 km da Bruxelles.
Ad ogni modo, si puo' affermare come, a ben vedere, non si siano mai create le condizioni politiche per il loro impiego, in particolar modo a causa della perdurante opposizione della Gran Bretagna, la quale rigettava a priori ogni iniziativa che potesse ricondursi all'idea di schieramento di un esercito europeo.
Parimenti, le NRF sono state impiegate soltanto in due occasioni e, in particolare, in modesti contesti operativi rappresentati dalle missioni di soccorso alle popolazioni USA e del Pakistan, colpite dall'uragano Katrina nell'agosto 2005 e dal terremoto di ottobre 2006.
Tuttavia e a ben vedere, il mancato utilizzo delle NRF e' dovuto in via principali a tre motivazioni. In primis, a causa dei costi di approntamento e gestione delle operazioni. Nel momento in cui venne costituita tale formazione, non fu raggiunto l'accordo sul metodo di finanziamento comune delle missioni (common funding), idoneo ad assicurare il personale, i mezzi e gli strumenti idonei a garantire l'utilizzo delle varie componenti.
Di fatto, la responsabilita' della sostenibilita' operativa delle nuove forze venne lasciata alle spalle delle nazioni che forniscono la propria disponibilita' a garanzia della leadership della formazione e degli assetti utili secondo le turnazioni definite in sede di Alleanza.
In secondo luogo, i concomitanti impegni nazionali assunti dai maggiori Paesi contributori della NATO in diversi scenari di crisi in un periodo successivo alla validazione delle NRF ne hanno esaurito la capacita' di rispondere in termini finanziari. Gli interventi che sono stati effettuati in Afghanistan, Iraq, Kossovo, Libano, Mali, Sierra Leone, sono stati effettuati a fronte di risorse economiche dedicate alla difesa sempre decrescenti, rendendo di difficile realizzazione le condizioni per l'attivazione delle nuove forze di intervento.
In terzo luogo, vi sono considerazioni di natura politica relative all'opportunita' o meno di avere un intervento della NATO in alcuni Paesi del mondo in cui l'Alleanza Atlantica non e' poi cosi' "popolare".
In considerazione di quanto detto, puo' legittimamente domandarsi quanto la nuova idea di forza di intervento rapida possa costituirsi, sopravvivere ed essere realmente impiegata.
Innanzitutto, occorre delimitare il campo di valutazione, procedendo ad escludere l'invadente aspetto della possibilita' di costituire un esercito europeo in generale. In tutti i casi in cui l'Europa si trova in situazioni di difficolta' nelle crisi internazionali, l'argomento ritorna in primo piano, creando delle aspettative che, dopo qualche mese, divengono deludenti.
La disgrazia dell'aeroporto di Kabul ha acceso di nuovo la discussione, cercando di riportare in auge la dimensione militare dell'Unione europea.
Come noto, i maggiori ostacoli da superare sono spesso stati di natura politica e molto si e' detto riguardo all'opportunita' di creare delle forme di cooperazione rafforzata tra un esiguo numero di Stati membri al fine di superare la questioni delle decisioni unanimi.
Vi e' da dire che la dimensione militare europea non e' stata mai veramente accettata dalla maggior parte del settore burocratico europeo, ivi tra cui l'autorevole establishment diplomatico internazionale che si trova a presidio della quasi totalita' dei meccanismi di funzionamento unitari.
Occorre poi domandarsi quale tipologia di missioni affidare alla nuova forza armata europea, e comprendere se sia opportuno inquadrarla nel sistema decisionale europeo, sebbene alleggerito dall'adozione di cooperazione rafforzate, oppure governata da una cabina di regia istituita per l'occasione nel Paese che mette a disposizione le strutture di comando opportune per pianificare la condotta dell'operazione.
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1) Nell'intervista disponibile sul sito www.corrieredellasera.it, Borrell ha affermato che "come europei non siamo stati in grado di mandare seimila soldati attorno all'aeroporto di Kabul per proteggere la zona. Gli americani ci sono riusciti, noi no".
2) Un battlegroup rappresenta una piccola unita' militare in grado di agire in via autonoma sul territorio o in grado di agire come forza di ingresso al fine di arginare una situazione di crisi prima di inviare un contingente maggiore. La sua caratteristica principale e' quella di avere una rapida e flessibile capacita' di risposta. Normalmente, un Battlegroup e' composto da circa 1.500 uomini; e' una forza multinazionale, ma solitamente uno Stato agisce da principale contributore assumendosi la responsabilita' di guidare tutto il processo (c.d frame work Nation).