LICENZIAMENTI INDIVIDUALI E COLLETTIVI PER GIUSTIFICATO MOTIVO OGGETTIVO: AGGIORNAMENTI APPORTATI DAL DECRETO RILANCIO
Adriana Fabrizio
"L'Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro", recita solennemente l'articolo 1 della Costituzione, e anche in tempi di pandemia si deve cercare ad ogni costo di tutelare questo diritto fondamentale, espressione delle attitudini e di una personale scelta di ogni cittadino, strumento di realizzazione economica, personale e sociale.
In questo contributo, dunque, mi soffermerò sulla nozione di giustificato motivo oggettivo e successivamente esaminerò le recenti disposizioni in materia di procedure di licenziamento, dovute alla necessità di salvare dei posti di lavoro che altrimenti sarebbero andati perduti con la chiusura generalizzata delle attività non essenziali.
GIUSTIFICATO MOTIVO OGGETTIVO
Il giustificato motivo fu introdotto dalla l. 5 luglio 1966 n.604, e si aggiunse alla già allora nota definizione di giusta causa, ricavabile dall'art. 2119 c.c. e ripresa nell'art. 3 della suddetta legge. Tali nozioni sono riconducibili alla più ampia categoria della giustificatezza, che come dice l'art. 1 comma 1 della legge 604/1966 è l'elemento fondamentale perché un licenziamento possa considerarsi legittimo.
Il giustificato motivo si divide poi in soggettivo ed oggettivo; quest'ultimo, a norma dell'art. 3, è dovuto a ragioni inerenti all'attività produttiva, l'organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento della stessa, il cui onere della prova è a carico del datore di lavoro.
Come si può notare, le difficoltà di cui si scrive sono generalmente dettate da normali logiche di mercato che, nel caso dell'emergenza sanitaria nazionale, non sono invocabili, per cui il licenziamento dovrà considerarsi nullo (vedi infra).
MODIFICHE ALL'ART. 46 DEL D.L. 17 MARZO 2020, N. 18 (c.d. "CURA ITALIA")
L'art 46 del d.l. 18/2020, rubricato "sospensione delle procedure di impugnazione di licenziamento" è stato rivisto alla luce degli ulteriori sviluppi dell'emergenza covid-19. Le modifiche sono state consistenti, a partire dalla rubrica, che in sede di conversione in l. 24 aprile 2020 n. 27, è stata sostituita dalla seguente: «Disposizioni in materia di licenziamenti collettivi e individuali per giustificato motivo oggettivo». Tale prima modifica si è resa necessaria a causa di un equivoco che la precedente rubrica generava; essa infatti citava la sospensione delle procedure di licenziamento, facendo sorgere il dubbio che essa potesse applicarsi anche ai termini di impugnazione giudiziali e stragiudiziali. Questo emendamento ha permesso quindi di chiarire in modo inequivocabile che i termini per le impugnazioni sono esclusi da tale sospensione.
Una seconda modifica, apportata dall'art. 80, d.l. 34/2020, ha interessato il co.1 dell'art. 46, allungando i precedenti termini di blocco delle procedure ex artt. 4, 5 e 24 l. 223/1991, dagli originari 60 giorni a 5 mesi, decorrenti dalla data di entrata in vigore del decreto (17 marzo 2020), sia che essi cadano nel periodo successivo al 17 marzo, sia che siano pendenti alla data del 23 febbraio 2020.
Ciò significa che nel caso del licenziamento individuale:
Nell periodo a partire dal 17 marzo 2020 è fatto divieto al datore di lavoro di licenziare un lavoratore;
Se il lavoratore dipendente ha ricevuto la lettera di licenziamento prima dell'entrata in vigore del decreto, quest'ultimo sarà valido anche se il periodo di preavviso termini all'interno della finestra temporale di divieto;
Se il lavoratore dipendente riceve la lettera di licenziamento nel periodo di divieto, esso sarà nullo (vedi infra), anche se il periodo di preavviso si concluda dopo il termine del periodo di blocco.
Per i lavoratori assunti prima del 7 marzo 2015, ai quali si applica l'art 7, l. 604/1966, e per cui è prevista la procedura di conciliazione di fronte all'ITL, si è posto il duplice problema di stabilire quale fosse il termine di preavviso e quale fosse la sorte delle conciliazioni già pendenti, vista la sospensione delle stesse da parte dell'ispettorato del lavoro. Per il primo si è risolto considerando come preavviso il periodo intercorrente tra l'avvio della procedura e la conclusione della stessa; per il secondo è stato il decreto "Rilancio" a sospendere tutte le procedure pendenti, per cui fino al ripristino di tutte le attività il lavoratore rimarrà a carico dell'azienda.
Per i licenziamenti collettivi invece la situazione è più problematica:
Resta fermo il blocco dei licenziamenti a partire dal 17 marzo 2020;
Le procedure avviate prima del 23 febbraio 2020 dovrebbero potersi concludere con la mobilità dal 17 marzo al 17 agosto 2020.
Le procedure avviate a partire dal 23 febbraio 2020 e proseguite fino al 17 marzo, potrebbero verosimilmente essere oggetto di nuove consultazioni sindacali al termine del periodo di blocco, in ragione dei mutamenti della situazione aziendale che, a causa della particolare congiuntura potrebbero essere anche notevoli.
In caso di violazione del blocco il licenziamento sarà radicalmente nullo. Si applicherà per tanto l'art. 18 dello Statuto (l. 300/1970) come modificato dall'art 1 co. 42 lett. b) della l. 92/2012 a tutti i lavoratori, anche quelli assunti dopo la data dell'8 marzo 2015 ex art 2 d.lgs. 23/2015; di conseguenza si disporrà la reintegrazione del lavoratore sul posto di lavoro, per i casi di licenziamento la cui illegittimità sia "riconducibile ad altri casi di nullità previsti dalla legge".
L'ultima modifica all'art 46 del d.l. 18/2020, sempre a norma dell'art 80 del d.l. 34/2020 riguarda l'introduzione del co. 1-bis che ha portato una vistosa deroga all'art. 18, co. 10 St. Lav., permettendo al datore di lavoro che abbia proceduto al recesso dal contratto di lavoro per giustificato motivo oggettivo, nel periodo dal 23 febbraio 2020 al 17 marzo 2020, di "revocare in ogni tempo il recesso purché contestualmente faccia richiesta del trattamento di cassa integrazione salariale, di cui agli articoli da 19 a 22, a partire dalla data in cui ha efficacia il licenziamento. In tal caso, il rapporto di lavoro si intende ripristinato senza soluzione di continuità, senza oneri ne' sanzioni per il datore di lavoro".
IPOTESI DI ESCLUSIONE DAL DIVIETO
Il blocco dei licenziamenti è stato generalizzato, come si è detto, ciononostante vi sono dei casi in cui il divieto non si applica.
Una prima ipotesi è quella di subentro nell'appalto; in questo caso l'art. 46, come modificato dalla l. 27/2020, ha previsto l'esclusione se, a seguito del recesso da parte del datore, il personale interessato, già impiegato nell'appalto, sia poi riassunto a seguito di subentro di nuovo appaltatore, in forza di legge, ccnl o clausola del contratto di appalto.
La seconda ipotesi è quella di licenziamento dei dirigenti, in quanto tali lavoratori sono soggetti ad una disciplina ad hoc rinvenibile non nella l. 604/1966 bensì nei contratti, e comunque il loro licenziamento potrebbe dipendere da fattori economici e strategici diversi da quelli per cui sia licenziato un lavoratore dipendente.
Una terza ipotesi è quella del licenziamento disciplinare, previa contestazione degli addebiti ex art. 7 St. Lav.
Un ulteriore caso di esclusione dal blocco interessa la scadenza dei contratti a termine, che non sono considerati licenziamenti.
Sono escluse le ipotesi di sopravvenuta inidoneità psico-fisica del lavoratore, disciplinate dall'art 42, d. lgs. 9 aprile 2008 n. 81 e riconducibile alle ipotesi dell'art 3, l. 604/1966 e assoggettate alla relativa sospensione.
Sono altresì consentiti:
I licenziamenti ad nutum dei lavoratori domestici;
I licenziamenti per raggiungimento dell'età pensionabile;
Il contratto di apprendistato;
Le dimmissioni del lavoratore per giusta causa;
La risoluzione consensuale del rapporto di lavoro;
Altre ipotesi sono più problematiche ed oggetto di dibattito; si discute sul il licenziamento per mancato superamento del periodo di prova: la dottrina sostiene che nel caso in cui, alla data del 17 marzo 2020, il periodo di prova sia troppo breve per poter valutare le capacità lavorative, questo debba esser sospeso per poi riprendere al termine del blocco e giungere a conclusione.
Un altro esempio di problematicità è rappresentato dal superamento del periodo di comporto; secondo parte della dottrina questi licenziamenti rientrerebbero nelle ipotesi di divieto, sebbene altra parte lo faccia ricadere nell'alveo dell'art. 2110 c.c.
Infine, crea parecchie controversie l'esclusione dal divieto del licenziamento per definitiva cessazione dell'attività, soprattutto in termini di illegittimità costituzionale, ex art. 41 Cost.
CONCLUSIONI
In questo breve e sicuramente non esaustivo contributo, data l'ampiezza della materia, si è cercato di mettere in luce la disciplina in virtù di quelli che sono stati e saranno gli sviluppi dell'attuale vicenda legata alla pandemia. Nel tentativo di dare una tutela più ampia possibile ai lavoratori, ci si è forse dimenticati delle esigenze dei datori di lavoro; molti di questi hanno notevoli difficoltà nel conservare dei posti di lavoro che pesano anche al livello fiscale, considerata l'incertezza che ancora avvolge le scadenze fiscali; come si è avuto modo di vedere, alcune delle ipotesi di esclusione dal divieto sono ancora oggetto di dibattito, e sicuramente daranno gran lavoro alla giurisprudenza che si troverà ad affrontarli. Generalmente la disciplina ha bisogno di molte integrazioni, ed infatti gli stessi decreti "Cura Italia" e "Rilancio" rimandano alla legislazione del lavoro.
La parola d'ordine che sicuramente caratterizza il complesso della disciplina è: incertezza, soprattutto per quel che riguarda i licenziamenti collettivi.