LA PRIVACY TRA DIRITTO E STORIA
Maria Stella Maisano
0.
INTRODUZIONE
Il tentativo del presente elaborato è quello di applicare il metodo giuridico ai fenomeni sociali, la cui osservazione però genera un senso di sgomento per la velocità in cui viaggia il progresso tecnologico rispetto alle riflessioni accademiche e legislative (e non solo) che- proprio in quanto riflessioni- richiedono tempistiche più moderate e profonda analisi critica.
Ed è proprio questo che genera affanno, vale a dire la difficoltà di rispondere alle istanze sociali in modo da poter coniugare efficacia e prontezza.
Infatti ci si chiede: qual è il modo più ottimale di procedere? È preferibile costruire una species di manifesto, generale e flessibile, che consenta, anche attraverso l'operato di giudici, di poter esser applicato a quanti più casi possibile? Oppure avere a disposizione un corpo legislativo in materia, appositamente predisposto per intervenire su situazioni ad alto grado di specificità?
Rispondere agli interrogativi di cui sopra impone di percorrere le tappe fondamentali che hanno condotto all'affermazione di un diritto alla privacy che troverà solo nella seconda metà del XX secolo un primo supporto normativo, seguito da altri interventi in materia che continuano però tutt'oggi a non costituire una soluzione totalizzante di tutti gli aspetti che il problema in oggetto presenta.
In un convegno degli anni '50 in cui si discuteva il rapporto tra innovazione tecnologica e diritto, uno dei relatori riteneva che ricercare le radici di un diritto alla privacy equivaleva a dimostrare di esser ancora legati ad una vecchia logica scolastica, dal sapore tutto italiano.
In realtà, inquadrare correttamente il dibattito in corso impone di conoscere il tradizionale tema della protezione della sfera privata contro le ingerenze esterne per poterne constatare, non solo il cambiamento qualitativo in sé, ma anche le ragioni che lo hanno determinato.
1. Che si intende per <<privacy>>?
Nell'art. 93, co. 1, della legge 22 aprile 1941 n.633, si legge "intimità della vita privata". Semplice ma efficace, tale formula esprime il fondamento concettuale della "privacy".
Privacy è la qualità di ciò che è private, dove private è contrapposto a public: attribuire a qualcosa la privacy vuol dire sottrarlo al dominio pubblico e farne un private.
Bisogna poi tenere presente la distinzione teorica tra privacy e diritto di privacy, ossia distinguere l'oggetto dalla pretesa giuridica: il diritto alla privacy è il potere della persona di "porre" la privacy sulla propria vita.( 1)
2. Prime riflessioni sulla vita privata
Tracciare una storia della vita privata si prospetta non privo di difficoltà. Tuttavia, va sempre di più affermandosi l'esigenza di cercare un punto iniziale alla riflessione giuridica sulla privacy, per poi tentare di ricostruire la nozione di "privato" attraverso le varie epoche storiche, ciascuna caratterizzata da stati e valori eterogenei.
Convenzionalmente, l'origine di tale categoria giuridica è datata al 1890, anno in cui Samuel D. Warren e Louis D. Brandeis, due giovani avvocati bostoniani, scrivevano un articolo, "Right to privacy", inserito nella rivista "Harvard Law Journal". Indubbio il prestigio dell'elaborato, è lecito, però, allo stesso tempo, domandarsi se è possibile rinvenire un sostrato teorico e concettuale alla raffinata e sottile analisi condotta dai due giuristi.
In altre parole, ci si interroga circa la possibilità di condurre una ricerca storico-intellettuale che consenta di collocare a ritroso l'archè di ciò che si qualifica come privacy, eventualmente estendendo l'oggetto della ricerca anche ed oltre lemmi e concetti: il concetto, infatti, nella sua interezza o sotto alcuni profili, può certamente trovarsi espresso con parole differenti in fasi diverse della maturazione del pensiero giuridico o in sistemi giuridici diversi, come ad esempio riservatezza, intimità, vita privata. (2)
2.1 Antichità classica
"Di tutte le attività necessarie e presenti nelle comunità umane, solo due erano stimate politiche e costitutive di quello che Aristotele chiamò il bios politikos, cioè la praxis e il lexis.". (3)
Nell'antica Grecia, la distinzione tra sfera pubblica e sfera privata corrispondeva all'opposizione tra dimensione domestica e dimensione politica. Diventava quindi particolarmente complesso parlare di vita privata perché l'avvento della città-stato consentiva al cittadino di trascorrere tutta la vita nell'attività politica. Infatti, chi conduceva una vita spesa nell'esperienza privata, "di ciò che è proprio", fuori dal mondo comune, era "idiota" per definizione (4).
Infatti, privacy significava "letteralmente uno stato di privazione che poteva toccare anche facoltà più alte e più umane. Un uomo che vivesse solo una vita privata e che, come lo schiavo, non potesse accedere alla sfera pubblica o che, come il barbaro, avesse scelto di non istituire un tale dominio, non era pienamente umano" (5).
Tuttavia, l'antica santità del focolare non andò mai interamente perduta: ciò che impediva alla polis di violare la vita privata dei suoi cittadini, e ritenere sacri i confini della proprietà, era proprio il fatto che senza la casa un uomo non poteva partecipare agli "affari" della città.
Anche nell'antica Roma si assiste alla denigrazione della sfera privata: seppur il modello, nella sua struttura, è trasposizione di quello presente nel mondo ellenico, è invece il contenuto ad essere significativamente diverso.
La realtà della vita politica romana si realizzava sulla base di valutazioni sul profilo sociale di uomini potenzialmente candidati ad esercitare le funzioni di Stato; venivano svolte su incarico del Senato, non direttamente da questo, ma attraverso una capillare rete di clientelismo politico.
La vita privata, dunque, non era fine a sé stessa, non oggetto di protezione e tutela, né destinataria di patinata sacralità: la sfera individuale doveva essere invasa ed esposta agli occhi dei più, messa al patibolo per verificarne solidità ed integrità.
Nessuno veniva dispensato dal dovere di rendere conto della sua vita privata al cospetto dell'opinione pubblica, nemmeno gli imperatori, soprattutto se buoni, potevano andare esenti da un tale obbligo (6).
2.2 Durante l'età medievale
L'aggettivo privè, così come il verbo priver, "si associa ad un insieme costruito intorno all'idea di famiglia, di casa, di interno. Fra gli esempi che sceglie, Littè cita l'espressione che ai suoi tempi era d'uso corrente: <<la vita privata deve essere chiusa tra quattro mura>>, e propone questa glossa: <<non è permesso indagare e far conoscere ciò che avviene in casa in privato. Tuttavia, ed è questo il tratto distintivo del termine particulier, nel suo significato più comune, il privato si oppone al pubblico. " (7)
La vita privata quindi era intesa come vita familiare: gli individui erano organizzati in gruppo, anzi l'individuo era il gruppo, homo uti coetus. L'uomo era qualificato sulla base delle caratteristiche stesse della cerchia cui apparteneva. Il privato non era intimità dell'uno. Non era desiderio di solitudine o libertà di emozione. Era piuttosto senso di appartenenza, di sicurezza e protezione.
Infatti la rivoluzione feudale sbriciolò il potere pubblico tramite le forme della vita privata: "la vita privata fu alla radice dell'amicizia, dell'impiego allo scambio di servigi, quindi della devoluzione del diritto di comandare, che non era ritenuto legittimo se non in un atteggiamento di reciproca dedizione, nei confronti dei protetti, dall'altro" (8).
Chi tentava di estromettersi da tal convivialità era macchiato come "strano", in valore assoluto, o per meglio dire, considerato o contestatore od eroe.
2.3 Senso di intimità: archetipo della privacy
Lewis Mumford, nella sua opera "La cultura delle città", scriveva: <<il primo mutamento radicale destinato ad infrangere la forma della casa di abitazione medievale fu lo sviluppo del senso di intimità. Questo, infatti, significava la possibilità di appartarsi a volontà dalla vita e dalle occupazioni in comune coi propri associati. Intimità durante il sonno; intimità durante i pasti; intimità nel rituale religioso e sociale; e finalmente intimità nel pensiero.>> (9)
In questo senso, la nascita della privacy può essere storicamente riportata al disgregarsi della società feudale: la borghesia inizia a riconoscere la propria identità all'interno del corpo sociale. Infatti, l'isolamento era privilegio di pochissimi eletti o di coloro i quali, per necessità o scelta, vivevano lontani dalla comunità. Questa possibilità, poi, si estende a quanti dispongono dei mezzi materiali che consentono loro di riprodurre, anche nell'ambiente urbano, condizioni tale da appagare il nuovo bisogno di intimità.
Al livello sociale e istituzionale questa esigenza di isolamento non è naturalmente avvertita dall'individuo, ma diventa strumento di acquisizione di un privilegio a disposizione di un gruppo. Sono le condizioni materiali di vita, infatti, ad escludere la privacy dall'orizzonte della classe operaia, tanto che <<poverty and privacy are simply contradictoires>>, nel senso che l'esercizio del right to be alone comporta indifferenza verso fenomeni di violenza sociale (10). "Viversi la propria intimità" - come possibilità di decidere di trarre godimento dalla propria dimensione privata - diventa status quo e autolegittimazione all'interno di una società latifondista, nella quale il proprietario terriero disponeva di un potere di ingerenza talmente ampio da determinare persino i confini della dimensione privata dei suoi sottoposti.
3. Prime delineazioni giuridiche del concetto di privacy
Seppur tale digressione storica permette di comprendere come il diverso contesto socio-economico è idoneo di per sé ad attribuire una diversa valenza qualitativa all'intramontabile binomio uomo-esigenza, con implicazioni giuridiche di certo non trascurabili, essa non è utile da sola ai fini di cui all'elaborato: ha il pregio di costituire archetipo della categoria giuridica oggetto di studio, scevro però delle complessità che hanno iniziato a caratterizzare il concetto di privacy così come oggi codificato.
Infatti,
oltre alla storia politica ed intellettuale dell'idea di privacy,
esiste anche una storia giuridica del concetto e dell'istituto che
ne deriva.
3.1 Individualrecht e tutela della persona
A partire dalla fine dell'Ottocento, le linee di pensiero che sviluppano le idee di privacy sono tre: la corrente pandettistica che lavora attorno all'Individualrecht, l'orientamento francese sulla protezione dell'immagine e quello, anch'esso di origine francese, che invoca la tutela della vita privata.
Il ius in se ipsum divenne un tema centrale nella riflessione dell'Ottocento tedesco, e da esso ebbe origine la categoria dei diritti della personalità, anzi nella maturazione dell'epoca, questa era così legata al ius in se ipsum, da parlarsi indifferentemente dell'uno e dell'altro.
Ed è proprio da una costola dei diritti della personalità che in Germania si sviluppò l'orientamento dottrinale dell'Individualrecht.
Ogni giurista espresse posizioni diverse.
Fra le tante teorie sulla natura giuridica dei diritti d'autore, in quest'ultimo quarto di secolo si è fatta strada una, che li considera come diritti sulla propria persona. Essa si contrappone a concezioni più antiche, ma fu formulata in modo preciso da Gareis, il quale riunendo in un gruppo coi diritti d'autore e d'inventore anche quelli sul nome, la ditta, ed altri simili, le diede una forma così attraente, da farla poi accettare da vari giuristi. 11
Il novum della tesi del Gareis è costituito dall'estensione del contenuto dei diritti della personalità, aggiungendo alle tradizionali garanzie della vita, dell'integrità personale, della libertà e del diritto sul proprio corpo, anche il diritto d'autore e d'inventore e i diritti sugli elementi distintivi della persona. Vengono così portati in primo piano gli elementi che marcano la persona, rendendola individuo (12).
Teoria poi sviluppata dal Gierke, la cui lucida e popolare impostazione fu considerata da Alfredo Ravà radice dottrinale del diritto alla riservatezza. Il filosofo del diritto estende ulteriormente le categorie individuate dal suo antesignano: opera una distinzione tra libertà/integrità fisica, separa la categoria dell'onore da quella del diritto al nome; divide quella comprendente la protezione del marchio e la disciplina della concorrenza sleale, rispettivamente, accorpando il primo al nome e alla ditta, e il secondo qualificandolo come categoria autonoma.
Ancora, uno dei più importanti esponenti fu Kohler, che dedica parte essenziale delle sue riflessioni proprio allo studio della sfera privata: immagine, nome, diritti sul proprio corpo, diritti d'autore e diritto al segreto epistolare, essenziale perché da esso può dipendere la gioia e la felicità della vita privata.
3.2 Il diritto all'immagine
"Sopra di sé l'uomo ha un dominio pieno, e così l'ha pure sulla propria immagine [...]. Per conseguenza ciascuno è in diritto di permettere o di rifiutare che sia riprodotto in tutto o in parte il suo corpo, e, per quanto sia celebre in vita, impedire che i posteri abbiano la sua immagine" (13).
Il dominio della persona su se stessa contiene un richiamo alla dottrina dell'Individualrecht: l'immagine andava considerata come espressione dell'individuo, al pari del pensiero e questa idea di risolvere il diritto d'immagine secondo la disciplina del diritto d'autore, e non secondo quella del diritto di proprietà, sarà seguita da altri giuristi, e verrà trasmessa alla dottrina italiana (14).
Le tesi favorevoli si articolarono, poi, secondo due posizioni nette: quella di chi rivendicava sempre e comunque l'appartenenza dell'immagine alla persona, indipendentemente dalla notorietà di questa, e quella di chi invece dava rilevanza al grado di esposizione della persona alla conoscenza collettiva, e sulla base di ciò proponeva diversi livelli di tutela (15).
3.3 La tutela della vie privée murée
Insieme alla dottrina del diritto all'immagine e a quella dell'Individualrecht, questa è la terza radice concettuale del diritto alla privacy.
La tutela della vita privata dalle indiscrezioni giornalistiche trova i suoi primi teorici in Europa, primo fra tutti Benjamin Constant, in un opuscolo intitolato "De la liberté des brouchers, de pamphlets et de journax", del 1814.
In un passo della citata opera si legge: "le azioni dei singoli non appartengono in nessun modo al pubblico. L'uomo a cui le azioni altrui non recano danno non ha il diritto di pubblicarle. Ordinate che chiunque inserirà in un giornale, in un pamphlet, in un libro, il nome di un individuo, e racconterà le sue azioni private, qualsiasi esse siano, quand'anche esse appaiano indifferenti, sia condannato ad un'ammenda, il cui ammontare crescerà in ragione del danno che l'individuo menzionato avrà l'onere di provare. [...] La vita privata di un uomo, di una donna, di una ragazza appartiene loro, ed è una loro proprietà privata, come i conti di un banchiere sono la sua proprietà" (16).
La forza delle sue idee era talmente radicata che, già morto Constant da lungo tempo, l'articolo 11 della legge 11 maggio 1868 ne testimoniava il mantenuto vigore. 17
4. Gli Stati Uniti e le prime teorizzazioni sulla privacy
Il percorso storico - fino ad adesso tratteggiato - è stato seguito con il chiaro intento di dimostrare che il tema sulla privacy è stato affrontato, sin dai primordi del pensiero giuridico, seppur con categorie, metodologie e valori ampiamente differenti da quelli attuali.
Tuttavia, il metodo utilizzato nell'elaborato, per un miglior approccio alla materia, è il seguente: individuare le caratteristiche del periodo storico di riferimento, enucleare le esigenze di protezione a livello personale, fornendole di relativa tutela.
Ed è proprio grazie a questo metodo che si può concludere nel senso che i primi a parlare di privacy non furono Warren e Brandeis; tuttavia già a partire dal 1900 non era rimasto praticamente nulla di quella stagione della dottrina tedesca, francese e italiana che si era aperta a riflessioni sulla tutela della vita privata. Ed è proprio per un paradosso storico che, invece, il tema è sopravvissuto nel celebre scritto dei due avvocati bostoniani.
Perciò, quest'ultimo, lungi dall'esser considerato come isolato momento d'avvio della riflessione sulla protezione della privacy, andrebbe piuttosto considerato come l'unico residuo di una stagione di pensiero ingiustamente dimenticata.
4.1 The right to privacy
Convenzionalmente, l'origine della categoria giuridica "privacy" è collocata nel XVIII-XIX, precisamente 1890, anno in cui Samuel D. Warren e Louis D. Brandeis, due giovani avvocati bostoniani, scrivevano: " from corporeal property arose the incorporeal right issuing out of it; and then there opened the wide realm of intangible property, in the products and processes of the mind, as works and literature and art, goodwill, trade secrets, and trademarks. This development of the law was inevitable. The intense intellectual and emotional life, and the hightening of sensations which came with the advance of the civilization, made it clear to men that only a part of the pain, pleasure, and profit of life lay in physical things. Thoughts, emotions, and sensations demanded legal recognition, and the beautiful capacity for growth wich characterizes the common law enabled the judges to afford the requisite protection, without the interposition of the legislature."(18) (19)
Durante quegli anni, l'invadenza tecnologica si fece particolarmente evidente nell'uso aggressivo da parte della stampa di mezzi fotografici e di registrazione.
Tutte queste trasformazioni minacciavano la sopravvivenza stessa di un diritto di privacy che era stato realtà fattuale, non munita di tutela legale.
E' a questo punto che compare l'articolo: il principale oggetto fu la newspaperization (20), anche perché la causa immediata dell'articolo fu la reazione di Warren all'invadenza con cui alcuni giornali locali riferirono, in maniera scandalistica, eventi relativi agli intrattenimenti mondani organizzati da sua moglie (21).
E così, con tono volutamente polemico, assertivo, ma scritto anche con evidenti finalità didascaliche, i due avvocati denunciano la pubblicizzazione dell'altrui vita privata e qualsiasi interferenza in essa, costruendo tale libertà come proiezione del diritto di proprietà, pur differendo da esso, indicandolo come "right to be let alone" (22).
Warren e Brandeis sostenevano che fosse necessario, per il sistema giuridico, riconoscere il diritto alla riservatezza perché, quando l'informazione sulla vita privata di un individuo è resa disponibile agli altri, questo tende ad influenzarlo e persino ad offendere il nucleo della sua personalità-"his estimate of himself".
Infatti, così come il tentativo di battery determina uno shock to the nerves, cioè un patimento psicologico, così l'esposizione indesiderata del privato di ciascuno alla pubblicità del mondo determina un analogo patimento.
Infatti, i due autori rimangono sempre più convinti della natura spirituale degli esseri umani, in cui assoluta libertà e universale responsabilità si fondono.
Negli anni a seguire, il Brandeis continuò a ribadire, con costanza, il principio di seità esistenziale, riconoscendolo come il fulcro della sua nozione di privacy. Tale nozione impone di lasciare in pace il sé, perché solo imparando a rimanere profondamente in se stesso, anche quando agisca nel mondo, potrà sfuggire alle forze corruttrici che lo attraggono fuori e lontano dalla sua originaria natura.
La priorità del principio e diritto di privacy riposa dunque su un principio di autodirezione secondo cui tanto più la seità individuale è in gioco, tanto più la condotta individuale deve rimanere immune da interferenze esterne.
Dunque, il sé esistenziale è l'essenzialmente reale ed empiricamente potenziale capacità di essere <<compassionatamente>> liberi. Per converso, l'autodistruzione è radicalizzazione del dualismo di sé ed altro, radice di ogni male (23).
4.2 Precedenti giuridici di diritto privato
In materia di diritto privato, Warren e Brandeis avevano condotto la loro ricerca rifacendosi a notevoli spunti di elaborazione civilistici. In particolar modo, di interesse, ai fini de quo, sono i precedenti giurisprudenziali che hanno costituito punto d'avvio per l'affermazione di un vero e proprio diritto alla privacy.
Seppur non esauriente l'intera categoria, assai notevole è la controversia che vede controparti Alberto d'Inghilterra e William Strange, decisa nel 1849, relativa alla pubblicazione che questi fece di alcuni schizzi realizzati dal principe, raffiguranti la Regina Vittoria e il principe stesso.
Nel caso di specie, si è pronunciata la High Court of Chancery, nel 1849, dalla cui decisione inizia a svilupparsi la confidence law.
La Corte accordò al Principe Alberto un'ingiunzione, vietando l'ulteriore pubblicizzazione, da parte di W. Strange, delle immagini ancora inedite.
In particolare, la Corte sottolinea: "intrusion - an unbecoming and unseemly intrusion, offensive to that inbred sense of property natural to every man - if, intrusion, indeed, fitly describes a sordid spying into the privacy of domestic life - into the home (a word hitherto sacred among us)."
Il titolo su cui si sarebbe dovuto giustificare l'impedimento alla diffusione di copie dell'immagine non avrebbe potuto essere, a rigore, il diritto di proprietà, piuttosto si sarebbe dovuto far ricorso ad una "fiction of property".
Ma se si tratta di una fictio, cioè se il diritto di proprietà - come già detto - non è inerente alla pretesa in esame, quale sarà più propriamente il diritto violato?
"A proposito del principio della protezione della proprietà c'è da notare che la common law, nel caso in cui le leggi speciali non prevedano nulla né in senso positivo né in senso negativo, tutela la privacy e l'isolamento del pensiero e dei sentimenti affidati allo scritto che l'autore desidera rimangano sconosciuti al pubblico" (24).
4.3 Limiti giuridici e sanzioni
La privacy è un diritto della personalità e in particolare una specie del diritto a non subire violazioni nella propria sfera di tranquillità personale. E' una generale pretesa all'inedito, generale perché comprende sia le opere dell'ingegno, sia i fatti della vita privata, sia rappresentazioni fotografiche e narrative.
Inizia così ad essere costruita la categoria moderna del dato personale: qualsiasi informazione relativa ad un individuo, a prescindere dal mezzo utilizzato per veicolarla e dalla sua forza espressiva.
Così definita la natura del diritto alla privacy, i due avvocati forniscono sommariamente i criteri per delineare un'autonoma disciplina: fissano limiti giuridici con relative sanzioni.
I limiti - intesi come elementi di sbarramento che impediscono la pretesa ad una tutela della propria privacy- sono i seguenti:
1. Interesse pubblico: non solo quello esercitato dalla persona che ricopre un ufficio pubblico, ma anche quello di persona che abbia notorietà per essersi distinta in altri settori, come industria, teatro... Questo può valere, tuttavia, nella misura in cui ci sia stata esposizioni in pubblico, e non comprende la persona in toto.
2. Exceptio veritatis: la garanzia - prevista dalla disciplina del libel and slander- ricopre solo divulgazione di fatti veri, anche perché la divulgazione di notizie false, come ad esempio quelle che determinano false light in the public eye, è punita a diverso titolo.
Le ragioni per cui si esclude la possibilità di opporre l'expceptio veritatis sono due. La prima è che, vero o non vero il fatto rilevato, l'illecito si consuma per il solo fatto della rivelazione ; l'altra è una ragione di opportunità, quella, cioè di evitare un pubblico esame attorno ai fatti divulgati, che si renderebbe necessario ove si dovesse dimostrare la verità o la falsità di questi ultimi.
3. Limiti mutuati dalla law of libel and slander: vi è l'esclusione dalle sanzioni solo delle divulgazioni puramente orali, riguarda quindi il solo fenomeno della stampa, costituendo così utile criterio di bilanciamento tra esigenze del privato ed espressione della collettività. Del resto il gossip è sempre esistito !
4. Limiti tratti dalla legge d'autore: è richiamato quello del consenso dell'interessato, già implicito nella disciplina francese; chi appresta il proprio consenso rinuncia al proprio right to privacy.
5. Malice: non rileva l'intenzione dolosa, anche una divulgazione effettuata in buona fede è di per sé idonea ad integrare l'illecito.
A livello sanzionatorio, invece, sono previsti due diversi modelli: le reazioni all'illecito modellate sulla base della disciplina della law of libel and slander, cioè un risarcimento dei danni, anche morali - injury to feelings - e una injuction, tradotta nel nostro sistema come una sorta di inibitoria.
5. Il diritto alla riservatezza nell'esperienza giuridica italiana
Nella mentalità giuridica anglosassone il termine privacy individua ciò che nella lingua italiana viene indicato come diritto alla vita privata e diritto alla riservatezza.
La dottrina italiana ha tentato invano di tradurre il termine privacy: dal diritto al riserbo al diritto al segreto della vita privata e al diritto alla riservatezza, essa non può che prendere atto dell'impossibilità di tradurre questa parola il cui significato è profondamente connesso alle condizioni storiche e sociali dell'epoca in cui si colloca.
A partire dalla sua introduzione, ha da subito costituito oggetto di riflessione da parte della dottrina i cui tentativi sono stati tutti indirizzati nel senso della possibilità di individuare un generale diritto della personalità che enucleasse anche la tutela alla riservatezza.
Infatti, l'ampio dibattito dottrinale e gli oscillanti orientamenti della giurisprudenza sull'esistenza e sul fondamento del diritto alla riservatezza sono stati generati dal silenzio del legislatore che non ha mai provveduto a dettare una disciplina generale e puntuale in materia, dedicandosi esclusivamente a singoli aspetti di essa (25).
Lo studio del diritto alla riservatezza e delle sue origine storiche può essere ricondotto al fenomeno anglo-americano della privacy, e ricollegarsi, quanto alla sua genesi, al fenomeno della globalizzazione ed al crescente intensificarsi della quantità di informazioni trasmesse da un capo all'altro dell'universo e che, a partire dal secolo XX, ha investito, sulla scia di quanto era già avvenuto nel continente americano, la maggior parte dei paesi europei, rendendo necessaria una maggior tutela dei dati in circolazione.
Purtuttavia trattandosi di una prospettiva diffusa tra civilisti e comparatisti, può - però - essere assunta un'altra, minoritaria, che riconduce la genesi del nostro diritto al riserbo ai contributi di dottrina e giurisprudenza che hanno tracciato un percorso che ha condotto all'emersione di un diritto ab origine escluso dal novero dei diritti inviolabili della persona.
Ecco allora che la storia della riservatezza, almeno nella sua prima fase, coincide con la storia italiana dei diritti della personalità in generale, e della intensa elaborazione dottrinale che la accompagna, e da questa se ne distacca solo in un secondo momento, intorno alla metà del XX secolo, grazie al contributo di una massiccia attività giurisprudenziale.
5.1 Parlare di riservatezza
<<L'interesse della privatezza attiene all'aspetto dell'individualità: perché riflette unicamente l'aspirazione del soggetto a conservare quella tranquillità di spirito, quella pace interiore, che al suo modo d'essere privato si ricollega, e che una pubblicità indesiderata turberebbe. A tal fine non occorre che il fatto, la vicenda siano segreti: è il loro stesso carattere privato che ne nega la pubblicità, come termine di antitesi in contrasto con una naturale aspettativa della persona. Contrario di segreto è palese; contrario di privato è pubblico.
Per conseguenza, si viola il segreto sol che esso si palesi ad una persona diversa da quelle che ne sono legittimamente a conoscenza (rivelazione); un fatto rimane privato anche se la notizia circola da privato a privato, anche se cioè non è segreto, né si mantiene tale: il contegno che ne ferisce l'interesse sottostante è unicamente la sua divulgazione al pubblico, perché appunto questo comportamento sprivatizza la vicenda e consegna al notorio, insieme ad essa il suo protagonista >> (26).
Le dotte argomentazioni del Giampiccolo sono funzionali ad escludere la possibilità di far ricorso alle disposizioni di legge che proteggono l'onore e il segreto per dare un fondamento giuridico alla tutela della vita privata (27).
Il giurista teorizza una concezione "monista", delineando un unico diritto della personalità.
Egli muove dalla considerazione della persona umana come valore unitario, di conseguenza il complesso delle norme presenti nel diritto positivo non rappresentano il fondamento di tanti autonomi diritti della persona quanto piuttosto la disciplina specifica di alcuni aspetti particolari della sua tutela; si ipotizza in tal modo un rapporto di genere a specie tra diritto unitario e singole disposizioni (28).
Secondo il Giampiccolo, infatti, "fino a quando non si vorrà ammettere che le varie norme disseminate nel codice penale, nel codice civile e in leggi speciali, non costituiscono il fondamento di tanti autonomi diritti della persona, ma piuttosto la disciplina specifica di alcuni aspetti particolari di sua tutela e non più che un concreto svolgimento di questa, la sua costruzione verrà sempre a poggiare su una base effimera" (29).
Così come delineati i termini della questione, si può risalire alla portata dell'articolo 2 della Costituzione che, nel riconoscere e garantire i diritti inviolabili dell'uomo, cessa di avere funzione meramente programmatica, assumendo forma propria di una norma precettiva: l'uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali dove si svolge la sua personalità, è titolare di un unico diritto (appunto, della personalità) le cui numerose esplicazioni gli consentono libero sviluppo della sua personalità, fungendo, in questo contesto, l'articolo de quo da clausola generale attraverso cui operare il continuo adeguamento delle garanzie giuridiche alle sempre nuove esigenze di tutela della persona.
Sebbene quanto appena esposto avesse avuto largo séguito, autorevole dottrina non ha esitato a sollevare obiezioni.
In particolare, fervido sostenitore di una contrapposta concezione "plurista" era il De Cupis secondo cui alla pluralità dei diritti corrisponderebbe una pluralità di oggetti o di beni che andrebbero individuati in modo di essere fisici o morali.
Il diritto alla riservatezza avrebbe ad oggetto un suo bene, cioè una particolare qualità o modo di essere della persona, che consiste nell'esclusione della altrui conoscenza di quanto ha riferimento alla persona medesima, bene il quale è stato già identificato come tale e quindi protetto espressamente in relazione all'immagine. Lo stesso bene della riservatezza viene poi tutelato con maggior rigore attraverso il diritto al segreto, che va inquadrato nel diritto alla riservatezza per l'identità del bene tutelato e da esso distinto per la maggiore intensità della tutela (30).
Viene quindi affermata l'esistenza di tanti diritti, quanti sono gli aspetti della personalità umana, presi espressamente in considerazione dal legislatore, e tutelati (c.d. numerus clausus dei diritti della personalità), col conseguente misconoscimento della tutela di quegli interessi della persona non corrispondenti ad alcuna delle tipizzazioni normative.
Tra i teorici della tipicità vi era poi chi considerava solo le ipotesi previste dalla Costituzione (artt. 4, 13-19, 21 ss., 32 e 35), e chi invece considerava rilevante anche le ipotesi previste dal codice civile (diritto al nome e allo pseudonimo e diritto all'immagine: artt. 6-10) ammettendosi tuttavia il ricorso al procedimento analogico per garantire la tutelabilità di <<nuovi>> diritti, non tipizzati.
Entrambe le versioni della c.d. tesi atomistica negano comunque l'unitarietà del valore giuridico «persona» ed entrambe «svalutano» perciò la norma dell'art. 2 della Costituzione a norma di carattere meramente programmatico, irrilevante come tale nei rapporti intersoggettivi, senza la mediazione di esplicite previsioni del legislatore ordinario. La norma in parola conterrebbe una formula meramente riepilogativa e riassuntiva, in cui il riferimento ai diritti inviolabili dell'uomo espliciterebbe un « rinvio » a quelli successivamente e singolarmente riconosciuti nel testo costituzionale o anche nel codice civile (31).
5.2 Diritto <<nuovo>>, tutela <<vecchia>>?
Il problema principale che si pose ai teorici di questo <<nuovo>> diritto fu quello di riuscire a trovare, nel nostro ordinamento, una normativa dalla quale desumere la tutela generale dell'interesse alla riservatezza.
La Costituzione e la Convenzione internazionale sulla salvaguardia dei diritti dell'uomo contengono clausole generali, che rappresentano la più salda base per la tutela ricercata.
All'art. 13 Cost., 1° co., si legge: "la libertà personale è inviolabile.", e con tale flessibilità ed ampiezza di formula, si sancisce l'effettività della tutela.
Non solo fisica, ma anche morale, la libertà è baluardo di dignità, dove per dignità si intende piena realizzazione dell'Io, in autonomia e con spontaneità di scelte.
La riservatezza, in questo contesto, deve essere tutelata per poter costituire strumento di autodeterminazione: la persona, all'interno di una comunità, tenderebbe ad adagiarsi alle scelte di questa e ad annichilirsi, dissolvendosi in questa, se non fosse libero di condurre un'esistenza non del tutto o, anche, del tutto non conforme all'ambiente di appartenenza. Infatti, è indubbio che l'individuo ha interesse a non far conoscere certe idee o vicende private in ambienti nei quali sarebbero causa di riprovazione, discriminazione e, nei casi più gravi, di esclusione da essi (32).
La rilevanza della riservatezza si evince anche dall'articolo 3 della Costituzione, a presidio della dignità umana, valore destinato ad un sempre maggiore rilievo per il diffondersi e rafforzarsi di tendenze che espongono la vita privata ad un "public scrutiny".
Questo risultato è stato possibile grazie al particolare grado di elasticità della Carta costituzionale, con l'inserimento di clausole generali che la rendono un testo sempre attuale, e che costituiscono fattori legittimanti una diversa interpretazione evolutiva dei diritti fondamentali della persona.
Ciò è avvenuto con l'art. 2 Cost. che non offre un'apertura generica alla possibilità di riconoscere una tutela costituzionale diretta alle situazioni soggettive, costituite dal diritto alla riservatezza, ma abilita ad enucleare da molteplici disposizioni costituzionali in materia di singoli profili della personalità umana che rinvengono nella Costituzione una tutela diretta e che, nel loro complesso, concorrono a delineare un riconoscimento indiretto del diritto che ogni persona ha ad avere una vita privata (33).
Oltre alla Costituzione, si considerava quale ulteriore base a tutela della riservatezza l'art. 8 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo, firmata nel 1950 e resa esecutiva in Italia nel 1955.
Anche in sede internazionale, si fa ricorso a clausole generali, infatti l'articolo recita che <<toute personne a droit au respect de sa vie privée>> . Spetterà al giudice, di volta in volta, determinare in concreto i limiti al diritto alla riservatezza, in relazione agli interessi con esso in conflitto, individuando le circostanze in cui il diritto deve ritenersi violato.
Di colpo, la fragilità del vecchio impianto concettuale e legislativo viene rivelata, nel 1970, dallo Statuto dei lavoratori (Legge 20 maggio 1970,n. 300) (34).
L'art. 8 dello Statuto stabilisce il divieto per il datore di lavoro di assumere informazioni personali sul lavoratore, o comunque, più in generale, non rilevanti ai fini della valutazione dell'attitudine professionale dello stesso.
Si tratta del risultato di un cambiamento d'epoca che costituisce una reazione al massiccio uso delle informazioni personali quale strumento di discriminazione politica dei lavoratori e contro i crescenti rischi tecnologici legati alla possibilità di controlli a distanza.
Tuttavia, nonostante l'indiscutibile pregio di costituire segno di cambiamento e rappresentare un tentativo di classificazione delle informazioni, comunque la norma de quo è ancora lontana da funzionare come paradigma soddisfacente: non soltanto perché riguarda la persona esclusivamente nell'ambito dell'attività lavorativa, destinata ad operare solo nei confronti del datore di lavoro, ma anche perché la sua formulazione, e applicazione, ha consentito di operare diverse invasioni nella privacy del singolo (35).
Quindi, sulla base dei citati riferimenti normativi, bisogna verificare in che modo la giurisprudenza ha reso concretamente tutelabili la riservatezza, prima cioè che la legge 31 dicembre 1996, n. 675 imprimesse il crisma legislativo alla tutela della riservatezza.
5.2 La prima giurisprudenza
La giurisprudenza italiana, sul finire degli anni '50, era invece attestata su posizioni ancora troppo rigide, mostrando di condividere l'interpretazione restrittiva dell'articolo 2 della Costituzione, per la quale essa conteneva una clausola così generale da diventare una « scatola vuota », una norma che soltanto in via marginale poteva offrire tutela a posizioni soggettive, ma che in realtà si prestava a manipolazioni tali da escluderne l'applicazione diretta ai rapporti tra i privati (36).
E secondo la Suprema Corte, nella nota sentenza "Caruso", "il tema poteva trovare la sua soluzione, senza bisogno di inventare istituti nuovi, nel precetto generale del neminem laedere, come specificato per l'appunto nell'art 2043 c.c." (37).
Si assiste ad un processo genetico delle situazioni giuridiche soggetti tipico degli ordinamenti di common law: non è il diritto preesistente all'azione processuale, come generalmente accade negli ordinamenti di civil law- bensì è il riconoscimento dell'esperibilità dell'azione processuale a tutela di una determinata situazione giuridica soggettiva, in particolare l'azione risarcitoria prevista dall'art. 2043, a determinare l'ingresso nella gamma indefinita dei diritti inviolabili di cui all'art. 2 della Costituzione italiana.
Quindi il processo logico svolto è il seguente: la fattispecie è collocata nel settore della responsabilità civile, con applicazione dell'art. 2043; si tratta di un danno ingiusto, in quanto conseguente alla lesione di un diritto soggettivo assoluto, ossia il diritto generale della personalità, che oggi si ricava dalla diretta applicazione dell'art. 2 Cost. E dal punto di vista sistematico, la privacy si colloca in un'area di confine: il danno appartiene all'ambito dei tort, l'interesse invece a quello dei diritti della personalità, genericamente intesi.
Nel 1960, infatti, la Corte di Cassazione, pur proclamando solennemente l'esigenza del rispetto della « verità personale », contro le alterazioni e le deformazioni della medesima ad opera di terzi, non ne faceva discendere, neppure implicitamente, la configurazione di un originale ed autonomo diritto all'identità personale, la cui prima definizione deve essere attribuita al De Cupis che appunto parla di << diritto della personalità, avente ad oggetto un bene che costituisce una qualità, un modo di essere della persona [...] l'essere per gli altri uguale a sé medesimo. >>
Nelle prime elaborazioni il diritto alla riservatezza coincide con il diritto all'identità personale.
5.3 Una nuova stagione: l'identità personale
La brillante intuizione del De Cupis venne condivisa dal primo formante giurisprudenziale che prese posizione in merito nella sentenza Veronesi, esprimendo il convincimento che la diffusione dell'inserto pubblicitario per lo promozione delle sigarette <<Milde Sorte>>, nel quale si leggeva che <<secondo il prof. Umberto Veronesi, direttore dell'Istituto dei tumori di Milano, questo tipo di sigarette riducono quasi della metà il rischio del cancro>>, avesse provocato una subdola distorsione dell'immagine esterna dell'attore, legata all'instancabile opera da lui svolta, generosamente e senza compromissione alcuna, sul piano logico e su quello scientifico, per combattere la terribile malattia del cancro, e di quella dell'istituto da lui diretto, istituzionalmente impegnato a fare attiva propaganda per la prevenzione e la conoscenza precoce dei tumori maligni e per la loro diagnosi.
Merito di questa Corte è stato quello di non aver riconosciuto quale fondamento giuridico-positivo della tutela di tate interesse (oltre che implicitamente negli art. 6, 8 e 9 c.c.) l'art. 8, 1° comma, 1. (sulla stampa) 8 febbraio 1948 n. 147, formulato dall'art. 42 1. 5 agosto 1981, n. 416, il quale dispone che «il direttore o, comunque, il responsabile è tenuto a far inserire gratuitamente nel quotidiano o nel periodico o nell'agenzia di stampa le dichiarazioni o le rettifiche dei soggetti di cui siano state pubblicate immagini od ai quali siano stati attribuiti atti o pensieri o affermazioni da essi ritenuti lesivi della loro dignità o contrari a verità.
<< Viene precisamente sostenuto che il diritto di risposta o di rettifica, previsto nella norma trascritta, si atteggia quale strumento di reintegrazione in forma specifica del pregiudizio «offerto dal soggetto leso e quale mezzo di difesa, non solo contro le offese dell'onore, ma bensì, « e con portata ben più estesa, contro le offese della verità personale che comportano un travisamento della personalità individuale, anche indipendentemente dal pregiudizio della dignità od onore ».
Osserva la corte, che, senza dubbio, la norma mostra una considerazione per l'interesse del soggetto a non vedersi attribuiti « atti o pensieri o affermazioni » a lui estranei, ma tale considerazione, già limitata alla sola ipotesi di attribuzione non veritiera (e non riferibili, perciò, anche all'ipotesi di omessa attribuzione di atti e pensieri), prescinde da ogni accertamento della verità ed appare pertanto rivolta a garantire il contraddittorio dell'interessato nell'informazione piuttosto che a realizzare una forma di reintegrazione specifica del pregiudizio da lui subito. Di conseguenza sembra la detta considerazione legislativa del tutto insufficiente a fondare resistenza, nel quadro dei diritti della personalità, di un diritto soggettivo di identità personale.
Ritiene la corte che il fondamento giuridico-positivo della tutela che si «avverte l'esigenza di assicurare all'interesse dell'intangibilità dell'identità personale debba individuarsi, conformemente ad un indirizzo di dottrina che va sempre più diffondendosi, nell'articolo 2 della Costituzione.
Il diritto all'identità personale mira a garantire la fedele e completa rappresentazione della personalità individuale del soggetto nell'ambito della comunità, generale e particolare, in cui tale personalità individuale è venuta svolgendosi, estrinsecandosi e solidificandosi. [...] Essa si colloca al centro dell'intero ordinamento costituzionale ed assume come punto di riferimento la persona umana nella complessità ed unitarietà dei suoi valori e bisogni, materiali e spirituali. Appunto perciò la norma non può avere un compito soltanto riepilogativo. [...]
Certo, nel nostro diritto positivo non è dato qualificare i vari diritti della personalità come profili od aspetti di un unico ed onnicomprensivo diritto della personalità, essendo ciascuno di essi riconosciuto a tutela della varietà degli interessi fondamentali dell'uomo, ma, pur costituendo tali diritti distinti ed autonome situazioni giuridiche soggettive, si riconducono tutti ad valore integrale ed unitario della persona umana, così come è, questa, intesa nell'art. 2 Cost. Ciò consente e non esclude affatto la possibilità di individuare nuovi bisogni della persona umana che, se essenziali e fondamentali, possono conseguire immediata ed automatica la tutela giuridica di diritto privato mediante il ricorso all'analogia dai diritti della personalità specificamente riconosciuti. >>.
In realtà sono state ritenute contraddittorie le affermazioni della Suprema Corte secondo cui « pur riconducendosi all'art. 2, il diritto soggettivo all'identità personale non si inserisce tra i diritti costituzionalmente garantiti, essendo tali soltanto quelli specificamente previsti dalle successive norme della Costituzione. La sua regolamentazione va dedotta, per analogia, da una disciplina prevista per il diritto al nome (art. 7 c.c.), essendo tale figura la più affine al diritto all'identità persona ».
La sentenza in parola è dunque senz'altro censurabile, perché finisce con l'assegnare all'art. 2 Cost. l'inutile funzione di attribuire rilevanza costituzionale ai soli diritti della persona tipizzati dalla stessa Costituzione, che di tale garanzia già godono per il fatto stesso di essere da essa espressamente previsti. Il richiamo poi all'estensione analogica dell'art. 7 c.c. rende privo di significato il riferimento all'art. 2 Cost., anche perché non si spiega come si possa fondare l'identità personale su tale norma costituzionale e poi disconoscere alla situazione soggettiva rilevanza costituzionale, quasi come se l'art. 2 non fosse compreso nel testo costituzionale.
Il tema era stato infatti affrontato in modo specifico dalla Corte Costituzionale, con la sentenza dell'1 agosto 1979, n. 98, che aveva sostanzialmente negato l'esistenza di un diritto all'identità personale, ritenendo che « l'invocato art. 2 Cost., nel riconoscere i diritti inviolabili dell'uomo, che costituiscono patrimonio irretrattabile della sua personalità, deve essere ricollegato alle norme costituzionali concernenti singoli diritti e garanzie fondamentali ».
E questo sembrerebbe un motivo plausibile all'accennata contraddizione (38).
Nonostante le diverse critiche mosse alla sentenza e alla debolezza dei rimedi a disposizione della parte attorea, rimane comunque ferma la modernità del nuovo indirizzo giurisprudenziale: vent'anni prima la Cassazione escludeva la configurazione di un autonomo diritto all'identità personale nonché di un più generale diritto alla riservatezza; invece nella sentenza del 1985 l'identità personale acquista autonoma rilevanza giuridica, intesa come diritto ad una corretta rappresentazione della personalità di ogni individuo.
5.4 Rapporto tra identità personale e riservatezza
E così come avvenne per gli altri diritti della personalità, successivamente l'apporto dottrinale ha operato nel senso di distinguere il diritto all'identità personale dal diritto alla riservatezza.
Ed infatti, mentre il diritto alla riservatezza atterrebbe al complesso delle vicende private del soggetto, il diritto all'identità personale consisterebbe nel complesso delle vicende pubbliche del soggetto, rilevanti per la connotazione della sua personalità.
In prospettiva comparatistica questa duplicità di prospettive sembra anticipare quella in cui versano rispettivamente nell'ordinamento italiano e nell'ordinamento nord-americano il diritto all'identità personale e il false light in the public eye.
6. Verso una nuova era
All'approccio tradizionale della privacy, come diritto all'intimità della vita privata, al riserbo, all'identità personale, si è con il passare degli anni affiancata un'altra dimensione della privacy, connessa agli abusi nella raccolta e nell'utilizzazione delle informazioni da parte delle c.d. « banche dati » che ha cominciato ad emergere sul finire degli anni '60, soprattutto negli Stati Uniti, in relazione all'introduzione e diffusione delle tecniche elettroniche di raccolta, elaborazione, memorizzazione e trasmissione di dati.
Le nuove dimensioni della raccolta e del trattamento delle informazioni hanno provocato la moltiplicazione degli appelli alla privacy e, al tempo stesso, hanno fatto crescere la consapevolezza dell'impossibilità di racchiudere le nuove questioni nel quadro istituzionale tradizionalmente identificato da quel concetto.
La problematica si è incentrata essenzialmente sui pericoli dell'applicazione seriale di tecniche di elaborazione dei c.d. «dati personali», vale a dire quelli che consentono l'identificazione del soggetto al quale si riferiscono.
L'introduzione dei computer, che catalogano notizie sui privati, ha posto problemi di controllo sull'uso delle informazioni personali che possono essere contenute in schedari di dimensioni prima inimmaginabili, ed ha provocato un'estensione del concetto di privacy, non più circoscritta solo ad una dimensione <<individualistica>> ma che acquisisce una rilevanza sociale (39).
Così, dopo un lungo periodo di lacuna legis sul punto, in vista delle problematiche legate alle novità tecnologiche l'Unione europea ha affermato la propria supremazia in materia, con maggiore intensità, dapprima con la Direttiva 95/46/CE, poi sostituita dal nuovo regolamento n. 2016/679 (GDPR), che costituisce non solo caposaldo per la data protection, ma anche strumento di soluzione ai problemi legati al trattamento in massa dei dati personali, meglio noti con l'espressione "Big data".
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1 E. Pelino, Diritto alla privacy e autodeterminazione, Origini ottocentesche delle prime formulazioni di un diritto alla privacy, Bologna, 2007
2 Ibidem
3 H. Arendt, Vita activa, la condizione umana, Milano, 2001, p.19
4 S. Niger, Le nuove dimensioni della privacy: dal diritto alla riservatezza alla protezione dei dati personali, Padova, 2006, p.2-3
5 H. Arendt, cit., p. 28
6 S. Niger, op. cit., p. 8
7 G. Duby, Potere privato, potere pubblico, in La vita privata, II, Roma-Bari, 2001, p.5
8 Ibidem, p. 22
9 L. Mumford, La cultura delle città, trad. it. di E. e M. Labò, Milano, 1953, p. 29
10 S, Rodotà, Tecnologie e diritti, Bologna, 1995,
11 A. Ravà, I diritti sulla propria persona nella scienza e nella filosofia del diritto, in Riv. ital. scienze giur, vol. XXXI, 1901, p. 320
12 E. Pelino, Diritto alla privcy e autoderterminazione: origini ottocentesche delle prime formulazioni di un diritto alla privacy, Bologna, 2007, p. 17
13 M. Amar, Dei diritti degli autori di opere dell'ingegno, Torino, 1874,p. 366
14 Per esigenza di completezza, i sostenitori della tesi negativa non negavano in sé la categoria del diritto di immagine, ma solo la sua autonomia, riconoscendone la tutela solo nel caso in cui la lesione inflitta avesse riguardato onore personale, inteso sia come fama o rispettabilità, sia come sentimento di personale dignità, proponendo quindi di identificarlo con il diritto all'onore; Vd. G. Cohn, Neue Rechtsgüter, Berlino, 1902.
15 La giurisprudenza francese in materia non aveva seguito questa linea, ma ha sempre rifiutato una gradualità di tutela sulla base del limine costituito dalla notorietà, tanto che Amar dirà: "D'altra parte quale sarebbe la linea di separazione tra l'uomo pubblico e il privato?".
16 Questo estratto dell'opera di B. Constant viene riportato da Gabriele Pincherle, ne La legge e la stampa, studio di dottrina e di giurisprudenza penale, Firenze, 1881; cfr. P. Manfredi, Il diritto penale della stampa, studi e proposte, Milano, 1881 e G. Crivellari, La stampa, osservazioni critico-legislative e proposte, Venezia, 1868.
17 "Ogni pubblicazione in uno scritto periodico relativo a un fatto della vita privata costituisce una contravvenzione punita con un'ammenda di 500 franchi."
18 S.D. Warren, L.D. Brandeis, The right to privacy, in Harvard Law Review, Vol. 4, No. 5. (Dec. 15, 1890), pp. 193-220
19 <<Il diritto immateriale di proprietà si sviluppa dalla proprietà materiale, distaccandosi però da essa; facendovi rientrare in questo ampio settore i prodotti e i processi della mente come opere e letteratura, arte, buone azioni, affari segreti e marchi. Questo sviluppo del diritto era inevitabile. Ormai si è capito che solo una parte del piacere, del dolore della soddisfazione della vita deriva, per gli uomini, dai beni materiali. Pensieri, emozioni, e sensazioni richiedono dunque, un riconoscimento giuridico, e solo la grande capacità di sviluppo della Common law consente ai giudici di concedere la protezione richiesta, senza l'intervento del corpo legislativo.
20 Il termine fu coniato da Henry James, che dedicò vari scritti al tema della vita privata, nella prefazione ad un romanzo specificatamente dedicato all'invasione del privato da parte dei giornali.
21 La signora Warren era parte dell'élite,e i giornali di Boston, in particolare il Saturday Evening Gazette, specializzato in questioni di <<sangue blu>>, riferì imbarazzanti dettagli altamente personali a proposito di quegli intrattenimenti; erano i tempi dello yellow journalism, quando la stampa ha cominciato a ricorrere a quegli eccessi, nei modi di acquisire informazioni, che sono diventati oggi assolutamente normali.
22 <<[...] il diritto alla vita significa il diritto a godere della vita, il right to be alone; il diritto alla libertà garantisce l'esercizio di ampi diritti civili; ed il termine proprietà è cresciuto fino a comprendere ogni forma di possesso, sia tangibile che intangibile.>>
23 S. Scoglio, Privacy: diritto filosofia storia, Roma, 1994, p. 99
24 S. Warren e L. Brandeis, cit, p. 204
25 Come ha osservato Rodotà, il legislatore civile si è sempre mostrato riluttante ad avventurarsi sul terreno della definizione generale del diritto della personalità, pure nei sistemi tradizionalmente ed esplicitamente fondati sul collegamento tra personalità e proprietà, e quindi sull'esplicita definizione normativa di quest'ultima.
26 G. Giampiccolo, La tutela giuridica della persona umana e il c.d. diritto alla riservatezza, in "Rivista trimestrale di diritto pubblico, 1955, pp. 459-460
27 Il diritto alla privacy non deve essere confuso con il diritto al segreto. Infatti, quest'ultimo opera in alternativa a quello della privacy: quest'ultimo è un aspetto del diritto della personalità, con il fine di escludere gli altri dalla privacy del singolo, invece, per il segreto, in capo a coloro che la notizia riservata detengono, sorge obbligo di non diffonderla, cui corrisponde la pretesa del titolare a che la notizia non venga diffusa.
28 S. Niger, cit., p. 42
29 G. Giampiccolo, cit., pp. 465-466
30 T.A. Auletta, Riservatezza e tutela della personalità, Milano, 1978
31 F. Basilica, Il difficile percorso della formalizzazione giuridica dei diritti della personalità cd. atipici, in. Riv. dir. civ., 2005
32 Cfr. T.A. Auletta., op. cit.
33 G. Rolla, Il difficile equilibrio tra diritto di informazione e tutela della dignità e della vita privata: brevi considerazioni alla luce dell'esperienza italiana, in https://www.unisi.it/ricerca/dip//dir_eco/COMPARATO/rolla4.doc.
34 S. Rodotà, Tecnologie e diritti, Bologna, 1995
35 G. Alpa, Privacy e statuto dell'informazione, in Riv. dir. civ., 1980
36 La prima controversia riguardò il tenore Enrico Caruso, originata dalla realizzazione di due film che ne descrivevano l'ascesa al successo, nonostante la fanciullezza di dolori e stenti. La Corte di Cassazione negò esplicitamente l'esistenza di un diritto alla riservatezza, sostenendo che un diritto nessuna disposizione di legge autorizzava a ritenere che fosse stato sancito come principio generale il rispetto assoluto all'intimità della vita privata e tantomeno come limite alla libertà dell'arte.
37 Cass., 22 dicembre 1956, n. 4487, in "Rivista di diritto industriale", 1962, II
38 F. Basilica, Il difficile percorso della formalizzazione giuridica dei diritti della personalità cd. atipici, in. Riv. dir. civ., 2005
39 F. Basilica, Il difficile percorso della formalizzazione giuridica dei diritti della personalità cd. atipici, in. Riv. dir. civ., 2005