LA LEGITTIMITA’ COSTITUZIONALE DEI DPCM
Dott. Renato Amorosa
L'emergenza sanitaria che ha travolto il nostro Paese ha comportato le necessità di adottare misure straordinarie finalizzate a tutelare la salute pubblica ed evitare il collasso dell'intero sistema sanitario nazionale.
Dal 10 marzo 2020, infatti, tutti i cittadini hanno affrontato un periodo di lockdown, con l'obbligo di rimanere nella propria abitazione, potendo uscire solo per giustificati motivi. Non solo, è stata anche imposta la sospensione delle attività commerciali, imprenditoriali ed industriali, con tutte le conseguenze economiche che ne conseguono.
Le misure limitative poc'anzi citate, sono state adottate attraverso lo strumento del Decreto del Presidente del Consiglio, noto come Dpcm, il quale ha fatto venir meno alcuni diritti costituzionali, che tutti consideravamo intoccabili e fonte primaria della democraticità di questo paese.
Sono, infatti, state limitate la libertà personale di movimento (Art. 13 Cost.), la libertà di circolazione (Art. 16), la libertà di riunione (Art. 17), la libertà di iniziativa economia (Art. 41), ovvero le principali forme di libertà esistenti nel nostro Paese.
Alla luce di ciò, risulta necessario interrogarsi sulla legittimità di tali misure e sulla legittimità dello strumento con cui sono state adottate.
Va, innanzitutto, premesso come tali misure draconiane trovino una loro giustificazione nel fine per cui sono state assunte. Infatti, l'articolo 42 della Costituzione definisce la salute quale diritto fondamentale dell'individuo; si tratta dell'unico diritto che la Carta definisce come "fondamentale" dovendo intendere che, con l'uso di tale aggettivo, il costituente abbia voluto dare un ruolo preminente alla salute pubblica, in quanto strettamente correlato al diritto alla vita, considerato assoluto e non suscettibile di bilanciamento in quanto condizione necessaria per poter godere di tutti gli altri diritti.
Orbene, ad avviso dello scrivente, la limitazione dei diritti trova legittimazione proprio in questo contesto di supremazia del diritto alla salute rispetto alle altre libertà dell'individuo, in una logica per cui la salute pubblica viene posta in una posizione apicale rispetto ad ogni altra forma di diritto e libertà.
Se, quindi, nel merito, tali misure limitative della libertà personale possono trovare una ragione in virtù delle precedenti motivazioni, più complesso risulta l'esame del Decreto del Presidente del Consiglio, quale strumento idoneo per l'adozione delle predette misure stringenti.
Il Dpcm è un atto di natura amministrativa ed in quanto tale riveste carattere di fonte normativa secondaria, che può trovare applicazione solo in attuazione di una legge. I Dpcm emanati per far fronte all'emergenza Covid - 19, trovano il loro fondamento in base alla dichiarazione dello stato di emergenza sanitaria del 31 gennaio 2020 e, soprattutto, al Decreto Legge del successivo 23 febbraio con cui si prevedevano limitazioni alle libertà costituzionali, rinviandone l'applicazione nei Dpcm stessi.
Orbene, tali Decreti Ministeriali, hanno la caratteristica di sfuggire sia ad un controllo preventivo da parte del Presidente della Repubblica, che ad uno successivo da parte del Parlamento. In ciò emergono tutti gli elementi, positivi e negativi, dello strumento che si è inteso utilizzare. Difatti, il mancato passaggio nelle aule parlamentari garantisce una maggiore celerità, consentendo quindi di effettuare interventi maggiormente pregnanti in relazione alla concreta situazione sanitaria del Paese.
D'altro canto, però, i Dpcm hanno determinato l'assunzione di norme eccezionali e limitative della libertà sulla base di scelte del solo Esecutivo, senza che venisse compiuta alcuna valutazione e controllo da parte dell'organo legislativo. È proprio questo elemento a sollevare dubbi sulla legittimità costituzionale dello strumento in esame. Forse sarebbe stato più idoneo l'utilizzo del Decreto Legge, il quale avrebbe comunque avuto efficacia immediata, ma, necessitando della firma del Presidente della Repubblica per la sua emanazione, e delle conversione in parlamento entro 60 giorni per la sua efficacia, avrebbe quantomeno garantito sia un controllo preventivo che un controllo successivo, risultando più attinente al dettato costituzionale. Il Decreto Legge, inoltre, nascendo proprio con la funzione di far fronte a situazioni straordinarie e urgenti, rende ancora più difficile da comprendere il motivo per cui sia stato fatto un ricorso così ampio ai Dpcm.
La legittimazione all'uso del Dpcm è messa ancora più in discussione dal fatto che la nostra Costituzione preveda un'unica ipotesi di conferimento di poteri straordinari al governo; si tratta dello stato di guerra, disciplinato dall'art. 78, con cui, previa deliberazione delle camere, possono essere attribuiti poteri legislativi all'esecutivo. È, tuttavia, escluso che allo stato attuale possa affermarsi che ci si trovi nell'ambito di una situazione di guerra, sia perché le camere non hanno mai deliberato in tal senso (come il dettato costituzionale richiede), sia perché di fatto, come da Decreto-legge del 23 febbraio 2020, l'attuale situazione è configurabile nell'ambito dell'emergenza sanitaria e non dello stato di guerra.
Nel quadro così descritto, in cui emergono tutti i numerosi dubbi sulla correttezza giuridica dello strumento utilizzato, il Dpcm trova la sua giustificazione nelle leggi previste per le situazioni di emergenza, approvate prima dell'epidemia di Coronavirus, come il decreto legislativo n. 1/2018 (Codice della protezione civile), in base al quale (artt. 24 e 25), al verificarsi di un'emergenza nazionale, il Consiglio dei Ministri delibera lo stato di emergenza e autorizza il Presidente del Consiglio dei Ministri, d'intesa con le Regioni interessate, ad adottare ordinanze in deroga a ogni disposizione vigente, purché sia dichiarato quali sono le disposizioni di legge che s'intende derogare e siano rispettati i principi generali dell'ordinamento e il diritto europeo.
Il Decreto del Presidente del Consiglio trova quindi la sua legittimazione in forza del combinato disposto di cui agli artt. 24 e 25 del Codice della protezione civile e di cui alla dichiarazione di emergenza sanitaria del 31 gennaio 2020.
In conclusione, quindi, si può affermare che, da un punto di vista giuridico, lo strumento del Dpcm sia pacificamente legittimo. Restano, comunque, in piedi numerosi dubbi sulla concreta opportunità di utilizzare questa fonte normativa; misure cosi restrittive e limitative di diritti e libertà fondamentali della persona avrebbero richiesto un maggiore coinvolgimento parlamentare, al fine di garantire il più ampio controllo possibile da parte dei rappresentanti dei cittadini. La garanzia di tempestività di intervento sarebbe potuta essere comunque garantita dall'uso del Decreto-legge che, però, avrebbe anche concesso un controllo preventivo ed uno successivo in merito al suo contenuto.