"ISTIGAZIONE O AIUTO AL SUICIDIO" [art. 580 c.p.]. LUCI ED OMBRE NELL'ANALISI CIRCOSTANZIATA DEL DISPOSITIVO
Dott.ssa Silvia Morrone
La tematica concernente l'istigazione al suicidio è sempre stata oggetto di tortuosi e incessanti dibattiti fondanti su posizioni diametralmente opposte della fattispecie penale ai sensi del disposto di cui all'art. 580 c.p.
"Chiunque determina altri al suicidio o rafforza l'altrui proposito di suicidio, ovvero ne agevola in qualsiasi modo l'esecuzione, è punito [...]"[1].
La ratio legis, indicante due tipologie di comportamenti innervati da profili comuni [l'istigazione e l'aiuto al suicidio], in applicazione del principio di "indisponibilità del bene-vita" è individuabile nella salvaguardia in toto dell'interesse pubblico.
Il dispositivo [art. 580 c.p.] delineatosi segnala una vittima apparentemente "dominatrice della propria azione"[1], ma in realtà guidata dalla presenza di una "condotta estranea di determinazione o di aiuto alla realizzazione del suo proposito"[1]. Ne deriva che la configurabilità del reato ai sensi dell'art. 580 c.p. - sembrerebbe - i.e. ottenibile sotto il profilo del "rafforzamento dell'altrui proposito suicida"[1] facendo leva sulla "consapevolezza della obiettiva serietà del suddetto proposito"[1].
Il condizionale inserito in questo contesto è d'obbligo - in veste di semaforo rosso - allarma, definendo una fattispecie prestante ad assumere risvolti dai connotati apparentemente "facilmente" risolvibili. In realtà, il rischio di un errore è dietro l'angolo; interpretabile talvolta nella condanna di un innocente senza possibilità di rewind. In questo scenario, la giurisprudenza penale ci offre una riflessione in merito all'ambiguo dispositivo [art. 580 c.p.] segnalando una linea di demarcazione tra due facce della stessa medaglia: l'istigazione e l'aiuto al suicidio [2][3][4].
Dove individuare il discrimine tra le due fattispecie?
Il codice - chiarificatore - nel delineare l'ipotesi di agevolazione del suicidio ammette una totale inesistenza "[...]di qualsiasi intenzione, manifesta o latente, di suscitare o rafforzare il proposito suicida altrui presupponendo anzi che l'intenzione di autosopprimersi sia stata autonomamente e liberamente presa dalla vittima[...]"[1] [5].
In soldoni - ai fini della configurabilità dell'ipotesi criminosa - è sufficiente la mera realizzazione di una condotta agevolatrice del suicidio.
Ma si può sempre parlare di "condotta agevolatrice del suicidio"?
Immaginiamo una madre consapevole della volontà del proprio figlio di suicidarsi lo lascia da solo a casa per qualche tempo. Se il figlio, dopo alcuni giorni si suicida, come è inquadrabile l'azione della madre-soggetto agente?
A tal proposito, l'autore Giulio F. Poggiali, - s'interroga sul rischio di condotte punibili qualificabili come "[...]irrilevanti o comunque non determinanti o agevolanti il suicidio[...]" [6]. Il suddetto autore - in una visione proiettata in avanti - sembrerebbe escludere una "[...]applicazione eccessivamente estensiva[...]"[6] del mero reato di "aiuto al suicidio" [art. 580 c.p.].
A corredo di quanto appena esplicato, la sentenza della Cass. Pen., Sezione I, n. 3924/2007 è un testimone lampante di come il legislatore talvolta risulta essere impreparato all'agire umano.
Prima di procedere ad un esame dettagliato della suddetta sentenza è necessario fare un passo indietro e andare a rispolverare quello che è il perno rotante del reato ai sensi dell'art. 580 c.p.: l'elemento soggettivo[1].
"[...]Ai fini della configurabilità del reato di cui all'art. 580 c.p., sotto il profilo del rafforzamento dell'altrui proposito suicida, pur essendo richiesto, quanto all'elemento psicologico, il solo dolo generico, è però necessario che sussista, nell'agente, la consapevolezza della obiettiva serietà del suddetto proposito[...]" [1].
Ne deriva che ai fini dell'esclusione della fattispecie ai sensi dell'art. 580 c.p. è indispensabile la presenza di un protagonista, soggetto-agente "forte" di una consapevolezza incrollabile relativa alla reale volontà dell'aspirante suicida.
La Corte del 2007 di cui sopra - sulla base di questo presupposto - si accinge a pronunciarsi in merito all'applicazione dell'art. 580 c.p. La S.C. nel caso in esame procedette ad escludere l'applicazione della suddetta fattispecie. Posto che protagonista della vicenda era una ragazza la cui condotta [sulla base di precedenti "mancati suicidi"] era destinata a tradursi in un finale effetto-sorpresa "non prevedibile" nella mente del ragazzo. Infatti, siamo in presenza di un "[...] fidanzato di una ragazza che, a fronte del manifestato e poi attuato proposito suicidario della stessa mediante precipitazione da un balcone, per reazione ad una scenata di gelosia, l'aveva verbalmente incoraggiata a porre in essere tale proposito, nella convinzione che come già avvenuto in passato esso non avrebbe avuto seguito[...]"[Testualmente la S.C.][7]. Si allinea la ratio di quella che potremmo definire il ponte-collante: la Cass. Pen. n. 3924/2006. Quest'ultima evidenzia la mancata "[...]integrazione di determinazione o rafforzamento dell'altrui proposito di suicidio[...]"[8] in presenza di condotte non destinate ad avere seguito sulla base dell'assenza di precedenti tentativi di suicidio.
La sentenza della Cass. Sez. V n. 22782/2010 CED - reduce della sentenza del 2007 - si accinge a confermare quanto detto dalla stessa definendo "ai fini dell'esistenza di un rafforzamento dell'altrui proposito"[9] la necessaria coesistenza di due fattori:
• l'oggettivo contributo all'azione del suicidio [1];
• la prefigurazione dell'evento come dipendente dalla propria condotta[1].
Infatti, la Suprema Corte "[...]ha censurato la decisione con cui il giudice di merito ha affermato la responsabilità dell'imputato, in ordine al reato di cui all'art. 580 c.p., presumendo una speculare intelligenza del rapporto reciproco dell'autore del reato e del suicida in termini di azione-reazione, così assorbendo la prova del dolo in quella della causalità[...]" [9].
La ratio alla base della sentenza sopra citata - in continuum con quella del 2007 - risiederebbe nell'indispensabile accertamento concernente il legame indiscutibile talvolta imprevedibile in veste di "nesso di causalità" [1] tra la "condotta di partecipazione all'altrui suicidio" [1] e l'evento [1] ai fini dell'imputabilità del reo.
Ma quanto può essere labile la linea di demarcazione che separa ciò che è giusto da ciò che è sbagliato?
La rassegna degli argomenti proposti difficilmente può prescindere dall'ammettere l'impugnazione di un'arma a doppio taglio quando oggetto delle nostre riflessioni è il reato di "istigazione o aiuto al suicidio" ai sensi dell'art. 580 c.p. Fattispecie in grado di assumere una veste talvolta minatoria sfociante in un'applicazione eccessivamente restrittiva che risente della mancanza dell'analisi circostanziata della suddetta fattispecie. La citazione del filosofo Voltaire inserita in questo contesto lascia trapelare la necessità di un intervento risolutore legislativo mirante ad una reale tutela della vittima: "Ai vivi si devono dei riguardi, ai defunti non si deve che la verità" [10].
La sentenza del 2007 menzionata precedentemente - guardando al futuro - potrebbe rappresentare non il punto di arrivo bensì un punto di partenza per un'evoluzione legislativa che tenga conto della vittima e di quanto il passo possa essere straordinariamente breve tra la pressione psicologica e la successiva integrazione di reati come quello ai sensi dell'art. 580 c.p. in presenza di casi dai connotati particolarmente complessi e non nitidamente decifrabili. Pertanto una ragionevole soluzione sembrerebbe celarsi nell'analisi della fattispecie legata al caso concreto che faccia leva sulla personalità della vittima, sulla sua vulnerabilità e sulla natura della pressione psicologica capace di assumere considerevoli sfumature.
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Bibliografia
1. GAROFOLI R., "Codice penale e delle leggi penali speciali", ed. IX, 2016.
2. BELTRANI S., "Manuale di diritto penale. Parte generale", ed. Giuffrè, 2017.
3. MARINUCCI G., DOLCINI E., GATTA G. L., "Manuale di diritto penale. Parte generale" ed. Giuffrè, 2018.
4. FIORELLA A., "Questioni fondamentali della parte speciale del diritto penale" ed. G. Giappichelli, Torino, 2016.
5. Cass. Pen. n. 3147/1998.
6. CONTINIELLO A., POGGIALI G. F., "Il delitto di istigazione o aiuto al suicidio nell'ordinamento italiano e sovranazionale", in Giurisprudenza Penale, 2017.
7. Cass. Pen., Sez. I, n. 3924/2007.
8. Cass. Pen. n. 3924/2006.
9. Cass. Sez. V n. 22782/2010 CED.
10. Prima Lettera a M.me De Genonville sull'Edipo, 1719.