L'IMPUGNAZIONE INCIDENTALE TARDIVA
Raffaele Ciampa
Prima di procedere ad analizzare l'istituto dell'impugnazione incidentale tardiva disciplinata dall'articolo 334 del codice di procedura civile, dobbiamo prima parlare delle impugnazioni incidentali.
Essa è disciplinata dall'articolo 333 cpc, il quale afferma che:
"Le parti alle quali sono state fatte le notificazioni previste negli articoli precedenti devono proporre, a pena di decadenza, le loro impugnazioni in via incidentale nello stesso processo."
La norma, quindi, concentra in un unico processo le impugnazioni proposte contro la stessa sentenza e vuole evitare l'incremento di procedimenti, quindi vuole tutelare l'unitarietà del processo di impugnazione. Alle altre parti incidentali viene posto il divieto di esperire un autonomo atto di impugnazione, al fine di impedire un altro processo di gravame sullo stesso oggetto.
Presupposto perché le parti soccombenti possano impugnare in via incidentale è di essere venuti a conoscenza della proposizione dell'impugnazione principale, attraverso la notifica della stessa.
Le impugnazioni incidentali devono essere contenute nell'atto di difesa che il soggetto è costretto a fare contro l'impugnazione principale, vale a dire, nella comparsa di risposta in relazione all'appello e nel contro ricorso in relazione alla Suprema Corte di Cassazione.
Essa può essere: (1) tempestiva se viene proposta entro i termini per impugnare e (2) tardiva se viene proposta oltre i termini per impugnare.
Quella tardiva è disciplinata dall'articolo 334 del cpc, il quale dice che: "Le parti, contro le quali è stata proposta impugnazione e quelle chiamate ad integrare il contraddittorio a norma dell'articolo 331, possono proporre impugnazione incidentale anche quando per esse è decorso il termine [326, 327] o hanno fatto acquiescenza alla sentenza [329] (1).
In tal caso, se l'impugnazione principale è dichiarata inammissibile, la impugnazione incidentale perde ogni efficacia (2)."
'E da citare il seguente caso:
Con avviso di accertamento, l'Agenzia delle Entrate rettificava il reddito di impresa della J.E.M. - esercente l'attività di parrucchiera - rideterminandone i ricavi dichiarati nell'anno d'imposta 2003.
La contribuente impugnava l'avviso di accertamento e la Commissione Tributaria provinciale di Avellino accoglieva parzialmente il ricorso, quantificando il reddito d'impresa in Euro 29.148,00
Tale pronuncia veniva riformata dalla Commissione Tributaria Regionale della Campania, che dichiarava inammissibile l'appello principale dell'Ufficio per mancanza di preventiva autorizzazione, ex art. 52, co. 2, d.lgs. n. 546 del 1992, nel testo ratione temporis applicabile, nonché infondati i motivi di gravame. Allo stesso tempo, accoglieva l'appello incidentale della J.E.M., annullando, di conseguenza, l'atto impositivo.
Avverso tale provvedimento, l'Agenzia delle Entrate proponeva ricorso in Cassazione. Secondo la prospettazione dei ricorrenti, in particolare, il giudice d'appello non avrebbe considerato che alla declaratoria di inammissibilità dell'impugnazione principale - sul capo della sentenza rispetto al quale l'Agenzia delle Entrate aveva prestato acquiescenza - avrebbe dovuto seguire la declaratoria di inefficacia della impugnazione incidentale tardiva del contribuente, ai sensi degli articoli 49, 54, co. 2, Dlgs 546/1992, e 334 cpc. Sarebbe, dunque, stato precluso ai giudici del gravame di deliberare in merito alla legittimità della pretesa impositiva. Dopo aver ricordato che l'impugnazione incidentale tardiva è sempre ammessa anche quando sia scaduto il termine per l'impugnazione principale e, persino, se la parte abbia prestato acquiescenza alla sentenza, la Corte ha precisato che l'unico limite è costituito dal fatto "...che essa perde efficacia se l'impugnazione principale è dichiarata inammissibile" (Cass. 27 giugno 2014, n. 14609; Cass. 11 giugno 2008, n. 15483). In particolare, secondo la Suprema Corte, la parte, per ottenere una decisione "di merito" sulla propria impugnazione, avrebbe dovuto proporre una impugnazione tempestiva. Non avendo esercitato, nei tempi previsti tale potere, quest'ultima ha "implicitamente" accettato il rischio del passaggio in giudicato della sentenza gravata. In conclusione, la declaratoria di inammissibilità dell'appello principale proposto dall'Ufficio ha, di fatto, determinato il passaggio in giudicato della sentenza di primo grado. La Commissione tributaria regionale ha, dunque, errato nell'aver analizzato nel merito sia la controversia oggetto di gravame principale che quella incidentale.
La quinta sezione della Suprema Corte ha, dunque, accolto il ricorso, cassato la sentenza impugnata e dichiarato inammissibile l'appello principale dell'Ufficio, nonché l'appello incidentale della contribuente.