IMMAGINI DEI MINORI SUI SOCIAL NETWORK: L'ESERCIZIO DELLA RESPONSABILITA' GENITORIALE TRA DIRITTO ALLA RISERVATEZZA DEL MINORE E UTILIZZO DELLE ODIERNE TECNOLOGIE TELEMATICHE
Dott.ssa Paola Petta
Il tema della pubblicazione e conseguente diffusione di fotografie raffiguranti figli minori di età sui social network risulta sempre più attuale, oltre che in continua evoluzione, segnatamente in ambito giurisprudenziale.
La materia ha trovato specifica disciplina nella Direttiva (CE) n. 46/1995, relativa alla tutela delle persone fisiche con riguardo al trattamento e alla libera circolazione dei dati personali e, nell'ordinamento nazionale, nella Legge n. 675/1996 sulla tutela delle persone e di altri soggetti rispetto al trattamento dei dati personali, nonché nel D.lgs. n. 196/2003, c.d. Codice della privacy.
Tale quadro normativo è stato, peraltro, recentemente arricchito mediante un ulteriore intervento del legislatore europeo che, con il c.d. G.D.P.R. (Reg. (UE) n. 679/2016)1, ha inteso rispondere all'esigenza di accordare una più incisiva tutela agli utenti, principalmente a seguito di uno smisurato progresso tecnologico, in cui la portata della condivisione e della raccolta dei dati personali è aumentata in modo pressoché incontrollabile.
L'attuale tecnologia, invero, consente alle imprese private, così come alle autorità pubbliche, di usufruire dei dati personali nello svolgimento delle loro attività; a ciò si aggiunga che è ormai abitudine quotidiana degli stessi privati quella di rendere pubbliche informazioni personali sulla rete mondiale.
Le predette esigenze di tutela risultano ancor più pregnanti dinanzi ad utenti minori di età, che godono, secondo quanto sancito dall'art. 16 della Convenzione sui Diritti del Fanciullo2, di una tutela "rafforzata", alla luce della quale deve considerarsi vietata qualsivoglia interferenza arbitraria nella vita privata dei soggetti minori degli anni diciotto.
Il G.D.P.R. in parola si inserisce in questo contesto evidenziando le peculiarità della posizione del minore e la conseguente esigenza, in ragione della sua maggiore vulnerabilità rispetto agli altri utenti, di prevedere una particolare protezione.
La ratio sottostante l'esigenza di una più specifica tutela nei confronti dei minori, relativamente ai loro dati personali, può rinvenirsi nella loro minor consapevolezza dei rischi, delle conseguenze e delle misure di tutela, nonché dei diritti ad essi riconosciuti3.
La posizione del minore è, peraltro, specificamente disciplinata dall'art. 8 del Reg. in esame4, ove si esclude la necessità del consenso del titolare della responsabilità genitoriale nel quadro dei servizi della società dell'informazione che siano forniti direttamente ai minori, pur precisando che il trattamento dei dati personali può considerarsi lecito solo laddove il minore abbia compiuto almeno i 16 anni di età.
Ove il minore sia di età inferiore, il trattamento dei suoi dati personali è invece lecito soltanto se e nella misura in cui il consenso sia prestato o autorizzato dal titolare della responsabilità genitoriale.
Tuttavia, il Regolamento ha altresì previsto la possibilità, per ciascun ordinamento nazionale, di compiere scelte diverse relativamente all'età del minore, a dispetto della ratio di uniformità della disciplina in ambito europeo, sottesa all'emanazione del Regolamento stesso.
Dinanzi a tale previsione, il legislatore italiano ha derogato a quanto previsto nell'art. 8 del Reg. (UE) n. 679/2016, mediante il D.lgs. n. 101/2018, che ha introdotto l'art. 2 quinquies nel testo del Codice della privacy, ove si stabilisce, quale linea di confine alla liceità del consenso prestato personalmente dal minore, la diversa età dei 14 anni, così distinguendo tra minori infraquattordicenni e minori ultraquattordicenni.
Il tema centrale della diffusione delle immagini di minori è stato oggetto di una pluralità di pronunce, nell'ambito della giurisprudenza di legittimità e, ancor di più, di quella di merito.
Le controversie in materia sorgono, nello specifico, laddove sussista un conflitto tra i due genitori circa la scelta di rendere pubbliche fotografie rappresentative dell'immagine dei figli minori e, segnatamente, al giorno d'oggi, le problematiche sono conseguenti all'utilizzo - talvolta eccessivo - dei social network.
Sul punto, può rinvenirsi una vera e propria evoluzione giurisprudenziale, atteso che, secondo un orientamento (ormai superato) della giurisprudenza di legittimità, doveva ritenersi sufficiente, per poter considerare lecita e legittima la diffusione dell'immagine del minore, il consenso di uno solo dei genitori5.
La giurisprudenza di merito si è poi evoluta in senso diametralmente opposto e, ad oggi, è richiesto, a maggior tutela del minore, il consenso congiunto di entrambi i genitori.
La ratio sottesa a tale più rigorosa opzione è nelle valutazioni normative compiute dalla giurisprudenza stessa, che è giunta a riconoscere come la condotta del genitore di "postare" le foto di soggetti minori su un social network possa essere indice di un grave potenziale pregiudizio alla sfera dei minori, alla luce del rischio tangibile - come i fatti di cronaca odierni dimostrano - che, mediante tali immagini, i minori possano divenire facile preda di sedicenti malintenzionati e, nelle ipotesi più gravi, finire nel circuito della pedopornografia in rete6 o, addirittura, divenire vittime di cyberbullismo.
Come più volte rilevato dalle corti territoriali, infatti, la pubblicazione di foto di minori sui social network, primi fra tutti le piattaforme Facebook e Instagram, determina la incontrollabile diffusione di tali immagini tra un numero indeterminato di persone, conosciute e non da parte del nucleo familiare.
Nell'ordinamento italiano, la pubblicazione di una fotografia online di un soggetto minore di età si inquadra pacificamente nel trattamento di dati personali e costituisce, per sua stessa natura, un'interferenza nella vita privata del minore, molto spesso avvertita come invadente da esso stesso7.
Per tali ragioni, occorre fare particolare attenzione nel pubblicare immagini di minori, anche laddove si tratti dei propri figli, non potendosi peraltro prescindere dal ricordare che, per i soggetti infraquattordicenni, non trattandosi di un atto di ordinaria amministrazione, sarà sempre necessario il consenso di entrambi i genitori e la pubblicazione dovrà comunque rispettare il decoro, la reputazione e l'immagine del minore.
Attualmente, il consenso da parte del figlio stesso, che è direttamente interessato dalle eventuali conseguenze derivanti dalla pubblicazione delle immagini online, risulta necessario solo in caso di soggetto ultraquattordicenne, non essendo invece obbligatorio interpellarlo quando si tratti di un figlio di età inferiore ai 14 anni; è possibile, infatti, rinvenire pronunce ove si impone ai genitori di astenersi dalla pubblicazione delle foto dei figli sui social network in assenza di un loro previo consenso8.
Occorre peraltro precisare che i medesimi limiti previsti in capo ai genitori valgono altresì per i nonni, nonché per i nuovi compagni di ciascun genitore.
Laddove i genitori non riescano a raggiungere un accordo sulla questione, si vedono riconosciuta l'opportunità di rivolgersi all'autorità giudiziaria competente, che certamente potrà valutare la soluzione più adatta nel perseguimento dell'interesse del minore.
Dinanzi a conflitti di scelta insorti tra i genitori, l'organo giudicante è infatti tenuto a compiere un bilanciamento degli interessi in gioco e, in particolare, tra la libertà, riconosciuta in capo a ciascun genitore, di crescere i propri figli secondo le personali ideologie, e l'interesse del figlio a non subire alcun pregiudizio gravante sulla propria crescita psicofisica o di non essere danneggiato anche da un punto di vista relazionale.
Secondo l'orientamento attuale, l'interesse del figlio minore a non subire gravi pregiudizi mediante l'utilizzo dei social network da parte dei genitori deve ritenersi sempre prevalente, in un'ottica di protezione del minore nella sua fase evolutiva, che le fonti interne, oltre che quelle sovranazionali, definiscono come interesse superiore e preminente (c.d. best interest).
L'inserimento di foto dei figli minori sui social network, avvenuto con l'opposizione o il mancato consenso di uno dei genitori, integra - nello specifico - violazione dell'art. 10 c.c., concernente la tutela dell'immagine, nonché del combinato disposto degli artt. 4, 7, 8 e 145 del D.lgs. n. 196/2003, riguardanti la tutela della riservatezza dei dati personali, oltre che degli artt. 1 e 16 della Convenzione di New York.
Invero, a fronte di conseguenze pregiudizievoli, anche meramente potenziali, sullo sviluppo del minore, è possibile intervenire in modo limitativo sulle scelte genitoriali, posto che l'ordinamento, pur riconoscendo in via di principio competenze esclusive alla famiglia, prevede altresì talune deroghe laddove le scelte compiute dai genitori non siano confacenti al superiore interesse del minore e, dunque, alle esigenze di sviluppo della personalità individuale del medesimo.
L'orientamento sopra esplicitato appare ormai consolidato nell'ambito della giurisprudenza di merito; con una recentissima pronuncia, infatti, il Tribunale di Trani ha altresì precisato che non può considerarsi quale accettazione della pubblicazione di foto o video dei figli minori la mera conoscenza degli stessi da parte dell'altro genitore, mediante la possibilità di accesso al profilo social del genitore che abbia realizzato la condotta rischiosa9.
Oltre che in relazione al pericolo descritto,cui si espongono i minori, non meno rilevanza assume il pregiudizio che la costante esposizione pubblica potrebbe arrecare ad essi sotto un profilo squisitamente socio-relazionale; più volte, infatti, nell'ambito dei precedenti giurisprudenziali in materia, è emerso come tale esposizione sia vissuta come un vero e proprio disagio dai minori, di cui spesso vengono rese pubbliche anche le più intime e personali fragilità.
Per una migliore valutazione di quest'ultimo aspetto, è peraltro possibile far ricorso all'istituto dell'ascolto del minore10 che, compiuti gli anni 12 ovvero anche di età inferiore, purché capace di discernimento, può essere sentito dall'autorità giudiziaria, sì da giungere ad una decisione che consideri altresì la volontà e le istanze del soggetto maggiormente interessato.
Proprio sotto questo profilo, pare opportuna un'ultima riflessione.
Allo stato attuale, la disciplina in materia, confortata dalla giurisprudenza prevalente, attribuisce in buona sostanza ai genitori il potere di fornire il proprio consenso ai fini della pubblicazione delle foto dei figli e il comune accordo tra essi genitori è condizione necessaria, ma altresì sufficiente, a tal fine.
Tale consenso, tuttavia, sebbene renda lecita e legittima detta attività di diffusione delle immagini di minori sui social network, non sembra utile ad escludere in concreto che da tale condotta derivino pregiudizi alla dignità e al pudore dei figli che, infatti, solo in età più adulta e matura, potranno effettivamente esprimere i propri sentimenti al riguardo.
Gli stessi giudici sono infatti chiamati a compiere un bilanciamento tra interessi contrapposti, senza avere tuttavia la concreta opportunità di valutare quanto la condotta posta in essere dal genitore potrà essere considerata dal figlio quale eccessiva ingerenza nella sua sfera privata.
Ebbene, sarebbero auspicabili interventi mirati alla protezione di tale interesse dei minori, da parte del legislatore o anche della giurisprudenza di legittimità, attualmente silente sul punto, essendo proprio la più limitata consapevolezza dei minori a enfatizzare i dubbi e le perplessità circa la idoneità del consenso a rappresentare una effettiva espressione di autodeterminazione, oltre che un adeguato strumento di tutela nei riguardi dei soggetti più fragili.
Disposizioni più puntuali sarebbero, infine, utili ad alleggerire il carico dei tribunali che, alla luce del quadro normativo attualmente vigente, con evidente difficoltà si trovano a dover rintracciare caso per caso la sussistenza o meno di quel "comune accordo" tra i genitori, di cui potrebbero essere meglio definite in via normativa le modalità di prestazione, oltre che i limiti contenutistici.
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1) Il Regolamento Europeo in questione è intitolato "General Data Protection Regulation (G.D.P.R.)" ed è in vigore dal 25 maggio del 2018.
2) La Convenzione sui Diritti del Fanciullo è stata approvata a New York il 20 novembre 1989 e successivamente ratificata in Italia mediante la Legge n. 176 del 1991.
3) Cfr. il considerando n. 38 del Regolamento (UE) n. 679/2016 (G.D.P.R.), ove si dispone che "i minori meritano una specifica protezione relativamente ai loro dati personali, in quanto possono essere meno consapevoli dei rischi, delle conseguenze e delle misure di salvaguardia interessate nonché dei loro diritti in relazione al trattamento dei dati personali (...)".
4) L'art. 8 del citato regolamento, rubricato Condizioni applicabili al consenso dei minori in relazione ai servizi della società dell'informazione, prevede che "qualora si applichi l'articolo 6, paragrafo 1, lettera a) (il consenso), per quanto riguarda l'offerta diretta di servizi della società dell'informazione ai minori, il trattamento di dati personali del minore è lecito ove il minore abbia almeno 16 anni." e che "ove il minore abbia un'età inferiore ai 16 anni, tale trattamento è lecito soltanto se e nella misura in cui tale consenso è prestato o autorizzato dal titolare della responsabilità genitoriale. Gli Stati membri possono stabilire per legge un'età inferiore a tali fini purché non inferiore ai 13 anni".
5) In tale direzione, v. Cass. Civ., sent. n. 21172/2006.
6) V. Tribunale di Rieti, sentenza 6-7 marzo 2019, ove, nel sottolineare la necessità di fare un uso responsabile delle piattaforme web e dilimitare la diffusione delle foto dei bambini, si evidenzia "il pericolo che qualcuno, con procedimenti di fotomontaggi, ne tragga materiale pedopornografico da far circolare in rete".
7) Si pensi alla recente ordinanza emessa dal Tribunale di Roma (Trib. Roma, sez. I civile, ordinanza 23/12/2017), a seguito della lamentela avanzata dal figlio minore stesso, che si opponeva alla condotta della madre di pubblicare costantemente contenuti sensibili della sua vita privata; il giudice romano, nel caso di specie, ha ritenuto congruo vietare alla madre la prosecuzione di tali condotte e ordinarle la rimozione di quanto già pubblicato.
8) V. Tribunale di Chieti, sentenza n. 403/2020.
9) V. Tribunale di Trani, Sez. Civ., ordinanza del 30 agosto 2021, con cui l'autorità giudiziaria ha ordinato ad una madre di rimuovere i video della figlia di anni 9 dal social network Tik Tok, inibendole altresì la prosecuzione di tale atteggiamento in assenza di espresso consenso da parte del padre.
10) Cfr. artt. 315 bis, comma 3 e 336 bis, comma 2, c.c.