IL SUBAPPALTO NEI CONTRATTI PUBBLICI: IL LIMITE PERCENTUALE A SEGUITO DELLE PRONUNCE DELLA CORTE DI GIUSTIZIA DELL'UNIONE EUROPEA

01.07.2020

Dott.ssa Deborah Pascale

Il Codice dei Contratti Pubblici (d.lgs. 50/2016) prevede espressamente che gli operatori economici affidatari dei contratti pubblici eseguano in proprio le opere o i lavori, i servizi, le forniture, ammettendo tuttavia la facoltà di ricorrere all'istituto del subappalto.

Come noto il subappalto è il contratto con il quale l'appaltatore affida l'esecuzione di una parte delle prestazioni o lavorazioni oggetto dell'appalto a soggetti terzi.

L'art. 105, comma 2, d.lgs. 50/2016, pone però un limite alla possibilità di ricorrere al subappalto, infatti, quest'ultimo non può superare la quota del 30% dell'importo complessivo del contratto di lavori, servizi o forniture. Occorre inoltre precisare che con d.l. 32/2019, c.d. sblocca cantieri, convertito in l. 55/2019, tale limite è stato elevato al 40% dell'importo complessivo. Infatti, l'art. 1, comma 18, l. 55/2019, dispone che "nelle more di una complessiva revisione del codice dei contratti pubblici, di cui al decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, fino al 31 dicembre 2020, in deroga all'articolo 105, comma 2, del medesimo codice, fatto salvo quanto previsto dal comma 5 del medesimo articolo 105, il subappalto è indicato dalle stazioni appaltanti nel bando di gara e non può superare la quota del 40 per cento dell'importo complessivo del contratto di lavori". Si tratta comunque di una modifica temporanea se non confermata entro il 31 dicembre 2020.

L'introduzione di un limite quantitativo ha come obiettivo principale quello di prevenire eventuali infiltrazioni della criminalità organizzata nei contratti pubblici, in quanto, per le caratteristiche proprie dell'appalto pubblico, il subappalto ha da sempre rappresentato lo strumento in grado di agevolare le infiltrazioni di natura mafiosa. Infatti, attraverso il contratto di subappalto vi è il rischio che una parte delle prestazioni vengano affidate ad un soggetto che si è però sottratto al confronto competitivo della gara.

A seguito dell'entrata in vigore delle direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE, con cui l'Unione Europea ha imposto agli Stati membri di modificare le proprie normative nazionali in materia di affidamenti dei contratti pubblici, il Legislatore italiano è intervenuto con una serie di correttivi al Codice. Tuttavia, nonostante ciò, la Commissione Europea ha aperto una procedura di infrazione nei confronti dell'Italia per mancata conformità del quadro giuridico alla direttive in materia di contratti pubblici (lettera di costituzione e mora del 24 gennaio 2019).

Una delle critiche rivolte al Codice dei Contratti Pubblici, riguarda per l'appunto la disciplina del subappalto. La Commissione Europea chiarisce, infatti, che nelle direttive UE non vi sono prescrizioni relative a un limite quantitativo al subappalto come sancito dalla vigente normativa italiana, anzi il Legislatore europeo si propone di garantire negli appalti pubblici una sempre più ampia partecipazione da parte degli operatori economici, in particolare piccole e medie imprese. A sostegno di tale tesi, l'art. 63, par. 2, direttiva 2014/24/UE, consente alle stazioni appaltanti di introdurre un limite al subappaltato soltanto in ragione della particolare natura delle prestazioni oggetto di gara e non al fine di prevenire un eventuale infiltrazione criminale in un appalto pubblico. Inoltre, ai sensi dell'art. 38, par. 2, direttiva 2014/23/UE, gli operatori economici devono avere la possibilità di ricorrere al subappalto per l'esecuzione dei contratti, nel dichiarato intento di facilitare la partecipazione delle piccole e medie imprese (cfr. considerando 63).

La Commissione Europea ha dunque concluso affermando che "la normativa italiana viola il diritto UE in quanto essa limita il ricorso al subappalto in tutti i casi, e non solo nei casi in cui una restrizione del subappalto sia oggettivamente giustificata dalla natura delle prestazioni dedotte in contratto".

In materia si è altresì pronunciata la Corte di Giustizia dell'Unione Europa con le note sentenze "Vitali" del 26 settembre 2019 (C-63/18) e "Tedeschi" del 27 novembre 2019 (C-402/18), nonché con la "Wroclaw - Miasto na prawach powiatu" del 14 luglio 2016 (C-406/14 - richiamata in entrambe le citate pronunce) chiarendo che "consentire il ricorso al subappalto solo per una parte dell'appalto, fissata in maniera astratta in una determinata percentuale dell'importo di quest'ultimo, e a prescindere dalla possibilità di verificare le capacità di eventuali subappaltatori e senza menzione alcuna del carattere essenziale degli incarichi di cui si tratterebbe, non sarebbe previsto dalla direttiva 2004/18 e si porrebbe in contrasto con l'obiettivo di apertura alla concorrenza e con quello teso a favorire l'accesso delle piccole e medie imprese agli appalti pubblici".

In particolare la Corte ritiene che, in virtù delle direttive europee ma altresì dello stesso art. 105, d.lgs. 50/2016, in presenza di obblighi informativi e di adempimenti procedurali per i quali l'impresa subappaltatrice può essere assoggettata a controlli analoghi a quelli che ricadono sull'impresa aggiudicataria, "il limite al subappalto non costituisce lo strumento più efficace e utile per assicurare l'integrità del mercato dei contratti pubblici". Infatti, se la stazione appaltante è in grado di conoscere in anticipo le parti dell'appalto che si intendono subappaltare nonché l'identità dei subappaltatori proposti, e di verificare in capo a questi il possesso dei requisiti di qualificazione e l'assenza dei motivi di esclusione, "non vi è ragione per introdurre un limite generalizzato e astratto per il ricorso al subappalto".

La Corte ribadisce che la normativa italiana "vieta in modo generale e astratto il ricorso al subappalto per una quota parte che superi una percentuale fissa dell'importo dell'appalto pubblico, cosicché tale divieto si applica indipendentemente dal settore economico interessato dall'appalto, dalla natura dei lavori o dall'identità dei subappaltatori. Un tale divieto generale non lascia spazio alcuno a una valutazione caso per caso da parte dell'ente aggiudicatore".

Alla data odierna, nonostante le indicazioni dell'Unione Europea, il Legislatore italiano non ha ancora rimosso i limiti percentuali al subappalto. Sul tema è intervenuto anche il Consiglio di Stato sostenendo che il limite del 30% dell'importo complessivo del contratto di lavori, servizi o forniture, nella formulazione dell'art. 105, comma 2, d.lgs. 50/2016, deve ritenersi superato per effetto delle citate sentenze della Corte di giustizia dell'Unione europea (Consiglio di Stato, Sez. V, 16.1.2020, n. 389; Consiglio di Stato, Sez. V, 17.12.2019, n. 8535). L'orientamento del Consiglio segue ad una pronuncia del TAR, in cui era stato evidenziato che il limite del 30% non può più ritenersi applicabile a priori al subappalto, ma deve "comunque essere valutato in concreto se il ricorso al subappalto abbia effettivamente violato i principi di trasparenza, di concorrenza e di proporzionalità"(TAR Puglia - Lecce, Sez. I, 5.12.2019, n. 1938).

Ciò premesso, alla luce della chiara posizione assunta dalla CGUE, è evidente che sia necessario un intervento del Legislatore nazionale. In tale senso si è espressa anche l'ANAC con comunicato n. 8 del 13 novembre 2019, approvato dal Consiglio dell'Autorità con delibera n. 1035 del 13 novembre 2019.

Nel documento si legge che "la Corte di Giustizia, pur stabilendo la non conformità al diritto UE del limite quantitativo al subappalto, non sembra aver sancito la possibilità per gli offerenti di ricorrere illimitatamente al subappalto". L'ANAC pone in evidenza che secondo la Corte di Giustizia il problema del limite quantitativo "derivi da un'applicazione indiscriminata rispetto al settore economico interessato, alla natura dei lavori o all'identità dei subappaltatori e al fatto che la disciplina interna non lascia alcuno spazio a valutazioni caso per caso da parte della stazione appaltante circa l' effettiva necessità di una restrizione al subappalto stesso" conseguendone "un quadro normativo in cui la regola generale dovrebbe essere quella del subappalto senza limitazioni quantitative a priori, al chiaro fine di favorire l'ingresso negli appalti pubblici delle piccole e medie imprese, promuovere l'apertura del mercato e la concorrenza in gara".

Secondo l'Autorità, quindi, occorre adeguare la normativa interna in senso conformativo all'orientamento della CGUE prevedendo tuttavia alcuni accorgimenti. Anzitutto, "viene in rilievo la questione di un eventuale subappalto del 100% delle prestazioni oggetto del contratto, ovvero di una parte talmente rilevante di esse che, di fatto, la commessa viene svolta sostanzialmente da terzi e non dal soggetto aggiudicatario. In merito, si ricorda la disposizione dell'art. 105, comma 1, del Codice, secondo cui "I soggetti affidatari dei contratti di cui al presente codice di norma eseguono in proprio le opere o i lavori, i servizi, le forniture compresi nel contratto. Il contratto non può essere ceduto a pena di nullità, fatto salvo quanto previsto dall'articolo 106, comma 1, lettera d)." Con tale norma, chiaramente finalizzata a consentire una ordinata esecuzione delle commesse, il legislatore ha inteso stabilire la regola generale secondo cui l'operatore economico deve eseguire in proprio l'appalto, anche al fine di evitare che una impresa partecipi alla gara al solo fine di aggiudicarsi il contratto per delegarne poi la sostanziale esecuzione a soggetti terzi non verificati in gara. Al riguardo, come accennato, se da un lato il Giudice europeo ha censurato il limite al subappalto previsto dal diritto interno, dall'altro non sembra aver stabilito la possibilità per gli offerenti di ricorrervi in via illimitata. Infatti, in un passaggio della sentenza si legge che "Tuttavia (...) una restrizione come quella di che trattasi nel procedimento principale eccede quanto necessario al raggiungimento di tale obiettivo". Con ciò il Giudice lascerebbe in qualche modo intendere che la limitazione non è in sé inammissibile quanto, piuttosto, che l'entità del limite in essere (pari 30% al momento della decisione) appare eccessiva rispetto allo scopo da perseguire".

Sul punto, l'ANAC evidenza che "il subappalto dell'intera prestazione o quasi, specie se necessario al fine di ottenere la qualificazione in gara (c.d. "subappalto necessario"), snaturerebbe il senso dell'affidamento al contraente principale, dovendosi in tal caso favorire - a fronte di un massiccio coinvolgimento di soggetti terzi - la partecipazione diretta alla gara da parte di tali soggetti, con assunzione della responsabilità solidale verso la stazione appaltante".

Tra l'altro, l'ANAC precisa che "l'art. 71 della Direttiva, così come il previgente art. 25 della direttiva 2004/18/CE, prevede che nei documenti di gara l'amministrazione aggiudicatrice possa chiedere o possa essere obbligata da uno Stato membro a chiedere all'offerente di indicare nell'offerta "le eventuali parti dell'appalto che intende subappaltare a terzi", nonché i subappaltatori proposti. Anche la Direttiva parla, dunque, di "parti" dell'appalto da subappaltare a terzi, lasciando quindi intravedere che la regola generale cui attenersi è quella del subappalto di una porzione e non dell'intera commessa".

Dunque, l'ANAC segnala al Legislatore "di valutare il mantenimento del divieto (formale o sostanziale) di subappalto dell'intera commessa o di una sua parte rilevante".

Una possibile soluzione per superare le criticità evidenziate dalla Corte di Giustizia potrebbe essere quella di "prevedere la regola generale dell'ammissibilità del subappalto, richiedendo alla stazione appaltante l'obbligo, alla stregua di fattispecie con finalità similari, come la mancata suddivisione in lotti dell'appalto di cui all'art. 51, comma 1, del Codice, di motivare adeguatamente un eventuale limite al subappalto in relazione allo specifico contesto di gara, evitando di restringere ingiustificatamente la concorrenza". Pertanto alcuni dei criteri potrebbero individuarsi, a partire da quelli indicati dalla Corte nella sentenza, nel "settore economico o merceologico di riferimento, la natura (ad esempio principale/prevalente o accessoria)della prestazione, ma anche specifiche esigenze che richiedono di non parcellizzare l'appalto, con finalità di carattere preventivo rispetto a fenomeni di corruzione, spartizioni o di rischio di infiltrazioni criminali e mafiose, ma anche di carattere organizzativo, per una più efficiente e veloce esecuzione delle prestazioni. Altro criterio che potrebbe essere oggetto di valutazione è quello inerente il valore e la complessità del contratto, al fine di consentire maggiore libertà per appalti di particolare rilevanza che suggeriscono di accordare più flessibilità nella fase realizzativa".

In sostanza, l'Autorità ha prospettato l'opportunità che sia previsto un obbligo per le stazioni appaltanti di "motivare adeguatamente un eventuale limite al subappalto in relazione allo specifico contesto di gara, evitando di restringere ingiustificatamente la concorrenza".

In altri termini, l'ANAC suggerisce che, fatto salvo l'odierno quadro normativo in cui vige il dovere di esecuzione in proprio del contratto, tuttavia sussistono dei margini di flessibilità a seconda del tipo di contratto. Spetta quindi a ciascuna amministrazione motivare le ragioni per le quali ritiene che stante il "carattere essenziale" (cfr. punto 28 CGUE C-63/18) di talune prestazioni esse debbano essere eseguite dall'appaltatore e non possano essere affidate in subappalto.

Alla data odierna in materia sono state prospettate dalla dottrina diverse soluzioni. Le stazioni appaltanti potrebbero decidere di continuare ad applicare la limitazione percentuale prevista dall'attuale art. 105, comma 2, d.lgs. 50/2016, tuttavia con il rischio che, trattandosi di una violazione delle direttive europee, un concorrente che si sente danneggiato da tale limitazione potrebbe ricorrere all'Autorità Giudiziaria. L'ente appaltante potrebbe anche decidere di disapplicare il citato articolo 105 liberalizzando in toto il subappalto oppure individuare, in sede di lex specialis, una disciplina compatibile con il contenuto delle pronunce della Corte di Giustizia.