IL FENOMENO TERRORISTICO NELLO SCENARIO INTERNAZIONALE
Avv. Federica Longo
La dottrina ha da sempre percepito una certa difficoltà terminologica nel definire il terrorismo come concetto giuridico. Difatti, il problema della sua definizione è da anni oggetto di analisi, dibattiti dottrinali e sconfinata letteratura italiana e straniera.
Con tale termine si è fatto riferimento di volta in volta a situazioni molto diverse tra di loro. Inoltre, di tale termine sono state fornite interpretazioni spesso non concordanti..
Peraltro, ad oggi non ne è stata ancora elaborata una definizione universalmente riconosciuta ovvero tale da riassumerne in maniera esauriente i caratteri essenziali. Nonostante sussistano una serie di definizioni relative a manifestazioni specifiche del terrorismo nelle diverse convenzioni internazionali e numerose definizioni proposte dalla dottrina, non si è mai arrivati ad una definizione di carattere generale, a causa del fatto che il termine "terrorismo" fa riferimento ad una serie di complessi significati morali e politici (1).
Difatti, alcuni autori lo hanno concepito come una "forma di lotta politica, che si esprime per mezzo di strumenti violenti al fine di raggiungere obiettivi di natura eversiva" (2).
Tuttavia, per poter fornire un concetto generale ed astratto di terrorismo è necessario scinderlo dalla sua componente politica.
I legislatori che si sono di volta in volta imbattuti nel tentativo di fornire una definizione globale di terrorismo in sede di negoziazione di un accordo internazionale, si sono dovuti scontrare sempre con il problema relativo alla distinzione tra terrorismo e legittima lotta dei movimenti di liberazione nazionale (3).
E' a partire dal XIV secolo che la parola "terrorismo" - mediante la lingua francese - è entrata a far parte del patrimonio linguistico dei Paesi dell'Europa Occidentale (4).
Il termine ha acquisito il suo valore politico grazie all'uso che ne è stato fatto durante la Rivoluzione francese, allorquando è stato usato per indicare un tipo di governo fondato sul terrore. In particolare, il riferimento è ai metodi repressivi impiegati dalla fazione al potere durante il periodo del c.d. "Terrore" (5), che va dal giugno 1793, data dell'espulsione dei Girondini dalla Convenzione, al luglio 1794, data della caduta di Robespierre.
In conseguenza di tali fatti, il termine "terrorismo" fece la sua prima comparsa nel 1795 all'interno dell' ‟Oxford English Dictionary" con riferimento agli abusi del potere rivoluzionario in Francia.
Verso la fine del XIX secolo, la parola terrorismo iniziò ad essere impiegata come conseguenza degli attacchi degli anarchici nei Paesi europei (6). I primi ad utilizzare la violenza in maniera sistematica, al fine di raggiungere obiettivi politici, furono i gruppi estremisti del movimento rivoluzionario sociale russo.
A ben vedere, inizialmente gli anarchici non facevano ricorso al terrorismo, ma fu solo verso la fine del 1880 che si ebbe una crescita del suo utilizzo a causa di diversi fattori:
le dure condizioni socio-economiche in America e in Europa;
la repressione dei governi nei confronti di forme di protesta più pacifiche;
l'uccisione dello Zar Alessandro II;
l'invenzione della dinamite;
l'incitamento degli anarchici alla "propaganda di morte".
Tali fattori determinarono una serie di proteste sociali, repressioni e vendette. Al punto tale da creare un potente movimento terrorista diffuso in ogni parte del mondo.
Un contributo essenziale allo sviluppo del terrorismo fu dato dal movimento nazionalista estremista irlandese tra il 1881 e il 1885. Ed invero, i nazionalisti irlandesi organizzarono una serie di attacchi in diverse città inglesi, allo scopo di costringere il governo a rilasciare il territorio irlandese occupato.
L'atto terroristico era costituito da strategie, metodi, tattiche e tecniche sviluppate ed applicate.
Tra il XIX e il XX secolo tale espressione fu utilizzata per indicare due differenti fenomeni posti in essere all'interno di un Paese o in un contesto internazionale.
Il primo fenomeno era quello del "terrorismo di Stato", il quale faceva riferimento sia all'uso del terrore da parte del Governo nei confronti della propria popolazione o di una sua parte al fine di rafforzare il potere acquisito, sia alle azioni finalizzate a porre la popolazione di un Paese avversario in tempo di pace in una situazione di terrore.
Inteso nella sua seconda accezione, il termine faceva riferimento all'uso indiscriminato della violenza da parte di gruppi più o meno organizzati aventi scopi politico-rivoluzionari, razziali, religiosi o indipendentisti-
Ad ogni modo, gli elementi costanti erano due: la natura politica del terrorismo (a prescindere dalle specifiche finalità perseguite) che si sostanzia nel ricorso sistematico ad una violenza organizzata contro persone e cose; il fine di diffondere sull'intera collettività o su parte di essa - in ragione delle sue modalità di tempo e di luogo - effetti psicologici di paura determinati dal singolo atto delittuoso compiuto (7).
Venendo ai nostri giorni, nell'ultimo decennio del secolo scorso l'idea generale di terrorismo viene normalmente associata all'estremismo musulmano, anche se, in realtà, l'origine islamica non sia l'unica storicamente rintracciabile.
Ai fini esemplificativi si può citare il caso dell'attentato col gas nervino condotto nel 1995 nella metropolitana di Tokyo dalla setta Aum Shinrikyo, sostenitrice di una dottrina sincretica basata su concetti che vanno dal Buddismo tibetano e indiano all'induismo fino agli scritti di Nostradamus (8).
Inoltre, si pensi al movimento statunitense Christian Identity, il quale predica una rivoluzione religiosa e razziale di bianchi di origine europea, la quale sia in grado di rovesciare il regime di stampo ebraico (ZOG, Zionist Occupied Government) che, a detta loro, controllerebbe il Paese e instauri una società "razzialmente pura".
Tuttavia, non si può non prendere atto del fatto che la maggior parte degli attentati negli ultimi anni sia attribuibile a fazioni di ispirazione islamica.
Sul punto, vi è chi ha definito il terrorismo jihadista come "quell'insieme di dottrine, di matrice fondamentalista islamica, aventi un'esplicita connotazione radicale e militante, alle quali si ispira l'azione terroristica di gruppi e organizzazioni,o anche di semplici cellule e di singoli individui (cd."lupisolitari"). (9)"
L'origine delle stesse si rinverrebbe tra il XVIII e XIX secolo (10) e tra le cause che hanno portato alla loro diffusione vi sarebbe la mancata creazione di uno stato arabo, auspicata alla fine di entrambe le guerre mondiali, e il fallimento dell'orientamento panarabo - fautore della creazione di un nuovo stato nazionale di modello occidentale - a cui ha fatto seguito il rafforzamento del modello panislamico, basato sulla determinazione di una organizzazione politica fondata sull'Islam e in grado di andare oltre i confini del mondo arabo.
In alcuni paesi, come Algeria, Egitto e Turchia, tali fazioni islamiste hanno attaccato in maniera violenta le istituzioni e in alcuni casi, forti di un certo consenso popolare, hanno raggiunto il potere così da esercitare politiche che hanno fortemente limitato i diritti umani.
Pur non sussistendo una definizione univoca e condivisa di terrorismo, con tale accezione si fa riferimento nel diritto internazionale ad una serie di attività criminose compiute con lo scopo di provocare panico negli individui, in gruppi di persone o in un‟intera collettività e quindi perseguire finalità ulteriori, solitamente di natura politica (11).
Ogni Stato ha formulato una propria definizione.
Ad esempio, gli Stati Uniti hanno definito il "terrorismo" ogni violenza motivata politicamente e praticata contro bersagli non combattenti da parte di gruppi sub-nazionali o agenti clandestini (12). Il "gruppo terroristico" è stato considerato un gruppo che pratica attività terroristiche o che contiene sottogruppi che le praticano. Se l'azione violenta coinvolge i cittadini o la proprietà di più di un paese, allora si tratta di "terrorismo internazionale".
Tale definizione non tiene in considerazione la possibilità che le azioni terroristiche siano compiute da un singolo uomo (il c.d. "lupo solitario") ed è pertanto insufficiente. Inoltre, non è sempre coerente con le opinioni prevalenti in altri paesi.
L'Unione Europea ha invece indicato - in una Decisione quadro del Consiglio del giugno 2002 - una lista di atti che possono essere considerati terroristici. Nello specifico, si parla di "gruppo terroristico" con riferimento ad un'organizzazione di più di due persone che agisce per un determinato periodo di tempo al fine di realizzare tali atti. Infine, vengono considerati punibili come reati terroristici l'istigazione o l'aiuto a, nonché il tentativo fallito di, commettere atti del genere.
Occorre tuttavia considerare che alcuni Stati membri non sono riusciti ad adeguare prontamente la propria legislazione alla Decisione quadro.
Per quanto riguarda più nel dettaglio la disciplina che il diritto internazionale dedica a tale tematica, è stato detto (13) che la lotta al terrorismo si inserisce nell'ambito dei cosiddetti conflitti "non internazionali", ai sensi del diritto internazionale umanitario. Ciò in quanto il concetto di "conflitto internazionale" viene attribuito esclusivamente ai conflitti tra due o più Nazioni.
A tal proposito, si veda la Quarta Convenzione di Ginevra del 1949 la quale, all'articolo 2 afferma che: "[...] the present Convention shall apply to all cases of declared war or of any other armed conflict which may arise between two or more of the High Contracting Parties, even if the state of war is not recognized by one of them.".
Contrariamente, i conflitti non internazionali sono previsti e regolati dall'articolo 3 comune alle quattro Convenzioni di Ginevra del'49 e dal Protocollo Addizionale del'77.
Il termine "non internazionale" si riferisce alle ostilità di uno o più gruppi armati non governativi. Pertanto, può essere relativo sia ad uno scontro tra più gruppi armati che ad uno scontro tra Stati e gruppi (14).
Il menzionato art. 3 non precisa quale sia il criterio in base al quale determinare se un conflitto abbia carattere non internazionale.
Tale omissione ha portato molti delegati della Conferenza diplomatica del '49 a ritenere che si sia in presenza di un conflitto di carattere non internazionale tutte le volte che si ricorra all'uso della forza, tra cui vengono ricompresi atti di anarchia o di vandalismo.
Il comitato della Croce Rossa Internazionale ha elaborato una lista di criteri sulla base dei quali poter identificare il carattere non internazionale del conflitto:
innanzitutto, la parte in rivolta contro il governo legittimo deve possedere una forza militare organizzata, che agisce in un determinato territorio. In secondo luogo il governo parte del conflitto dovrebbe impiegare forze armate regolari contro gli insorti come forza militare in controllo di parte del territorio. Infine, il governo deve riconoscere agli insorti lo status di belligeranti. II Protocollo Addizionale del 1977, all'articolo 1, esclude la riconducibilità al conflitto non internazionale di disordini interni, rivolte o atti di brigantaggio e consente di identificare più chiaramente i requisiti per i quali un conflitto armato abbia natura "non internazionale". Infatti è introdotto l'elemento di controllo territoriale tale da consentire ai gruppi armati di compiere operazioni militari programmate e concertate; inoltre si limitano i casi di applicazione del Protocollo al solo scontro tra un Governo e i gruppi armati, pur non essendo esplicitamente indicato se un conflitto tra gruppi armati non possa comunque essere ricondotto al concetto di conflitto non internazionale
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1) LAMBERT J., Terrorism and Hostages in International Law, Cambridge, 1990, p. 13.
2) BASSU C., Terrorismo e Costituzioni: Percorsi Comparati,Torino 2010., cap. I, p.3
3) CASSESE A.., I reati politici degli stranieri: in cerca di una definizione, in Politica del Diritto, 1975
4) Riguardo alla parola "terrorisme"da cui avrebbero tratto origine le corrispondenti parole nelle lingue europee si faccia riferimento, tra gli altri, a: HUGUES E., La notion de terrorisme en droit international: en quete d'une définition juridique, in JDI, 2002, vol. III, p. 755 ss.
5) GIOIA A., Terrorismo internazionale, crimini di guerra e crimini contro l'umanità, in RDI, 2004, n. 1, p. 5
6) Sul punto JENSEN R.B., Daggers, Rifles and Dinamite: Anarchist Terrorism in Nineteenth Century Europe, in Terrorism Polit Violence, 2004, Vol. 16, n. 1, p. 116-153
7) LAUDI M., Terrorismo (dir. internazionale), in Enciclopedia del diritto, vol. XLIV, 1992, pp. 355 ss.
8) READER I., Religious Violence in Contemporary Japan: The Case of Aum Shinrikyo, University of Hawaii Press, 2000, pp. 66-68.
9) COLACINO N., La Comunità internazionale, il suo Nemico Perfetto e il <> di Combatterlo: Rilievi Critici sul Ricorso alla Legittima Difesa Contro il Terrorismo, in Rivista Ordine Internazionale e Diritti Umani,2016,p.670.
10) BASSU C., op. cit, p. 23
11) Sottolineano lo scopo intimidatorio PANZERA F. A., Terrorismo (dir. internazionale), in Enciclopedia del Diritto, 1992, p. 371, SAULNIER E., La lutte contre le terrorisme dans le droit et la jurisprudence de l'Union européenne, Issy-les-Moulineaux, 2014, Lextenso editions.
12) MONAR J., MAHNCKE D., International terrorism: a European response to a global threat?, Bruxelles, P.I.E.-Peter Lang, 2008
13) CASIELLO C., La strategia di contrasto ai foreign terrorist fighters e la revoca della cittadinanza, in Diritto Pubblico Comparato ed Europeo, fascicolo 2, aprile-giugno 2017.
14) TALLERICO R., La definizione di conflitto armato nel diritto internazionale umanitario, pagg.22-23, anno 2011