L'ANDAMENTO DEL MERCATO DEL LAVORO NEGLI ULTIMI ANNI
Dott. Simone Rossi
In questi giorni, uno dei temi più discussi è sicuramente quello della sospensione dei licenziamenti atteso che il termine che era stato concesso è terminato.
Orbene, nell'attesa dei nuovi provvedimenti, è bene fare una quadra sull'andamento del mercato del lavoro degli ultimi anni. Nei primi mesi del 2020, la diffusione del virus da Covid-19 ha determinato un rapido deterioramento del mercato del lavoro.
In particolare, tra gennaio e aprile dell'anno corrente, sono state create quasi 600.000 posizioni in meno rispetto allo stesso periodo del 2019.
Il calo dell'occupazione è stato contenuto dal blocco dei licenziamenti e dal potenziamento della Cassa integrazione guadagni (CIG), che hanno sostenuto i rapporti a tempo indeterminato: i datori di lavoro hanno richiesto l'accesso a strumenti di integrazione salariale per oltre sette milioni di dipendenti.
Sono state previste sia forme di indennizzo per il lavoro indipendente, parasubordinato e stagionale, sia nuove misure di sostegno al reddito delle famiglie[1].
Già nel corso del 2019 la crescita del numero di lavoratori occupati si è indebita in maniera progressiva: l'andamento positivo del primo semestre, sostenuto dall'aumento delle posizioni lavorative dipendenti a tempo indeterminato, si è interrotto nei mesi estivi ed ha invertito dinamica negli ultimi tre mesi dell'anno.
Ad ogni modo, non vi è dubbio che l'emergenza sanitaria abbia avuto delle pesanti ripercussioni sul mercato del lavoro.
Secondo l'ISTAT, nella media del primo trimestre del 2020, il numero di occupati sarebbe sceso dello 0,4% rispetto ai tre mesi precedenti[2].
I dati amministrativi relativi alle comunicazioni obbligatorie forniti dall'ANPAL (Agenzia Nazionale per le Politiche Attive del Lavoro) mostrano come l'andamento delle posizioni alle dipendenze nel settore privato è rimasto in linea con quello osservato nello stesso periodo del 2019 fino alla penultima settimana di febbraio, per poi subire un brusco peggioramento a partire dalla fine del mese.
Il calo che si è registrato è dovuto soprattutto alla marcata flessione delle assunzioni che ha riguardato quasi tutti i settori: difatti, ad influire in tal senso è stato sia il clima di incertezza che ha avvolto l'evoluzione della pandemia, sia la sospensione di diverse attività economiche finalizzata al contenimento del contagio.
Proprio al fine di preservare l'occupazione permanente, è stata disposta la sospensione di tutte le procedure di licenziamento per giustificato motivo oggettivo per cinque mesi, a partire dal 17 marzo, secondo quanto previsto dal c.d Decreto "cura Italia" e dal successivo Decreto "rilancio".
Al tempo stesso, per alleviare il costo del lavoro delle imprese a fronte del marcato calo delle attività, il Governo ha introdotto nuove modalità di integrazione salariale che non richiedono la compartecipazione delle aziende al costo.
Alle imprese che possono accedere alla CIG ordinaria e a quelle con procedimento di CIG straordinaria in corso è stata destinata una CIG di emergenza con causale "Covid-19 nazionale".
Uno strumento simile è previsto per i datori di lavoro che aderiscono al Fondo di integrazione salariale (FIS)[3].
Per tutte le altre aziende, a prescindere dal settore economico e dalla dimensione, è stata reintrodotta la CIG in deroga. La durata massima di tutti questi trattamenti è di 18 settimane, di cui quattro attivabili solo nei mesi di settembre ed ottobre[4].
Le restanti 14 mensilità, fruibili entro agosto, risultano sufficienti a coprire la fase di sospensione delle attività, ma non l'intero periodo di blocco dei licenziamenti.
Per quanto riguarda invece il settore dei lavoratori autonomi, il decreto "cura Italia" ha introdotto, per il mese di marzo, un'indennità di 600 euro destinata alla generalità dei lavoratori autonomi iscritti alle gestioni speciali dell'assicurazione generale obbligatoria e ai liberi professionisti titolari di partita IVA o collaboratori iscritti alla gestione separata INPS, inclusi quelli la cui attività non è stata limitata da restrizioni.
Tale indennità è stata estesa anche per il mese di aprile dal decreto "rilancio".
Inoltre, ai lavoratori indipendenti sono stati garantiti dei benefici fiscali a parziale copertura dei costi fissi e, per le attività più piccole, dei mancati ricavi.
I liberi professionisti iscritti ad enti di previdenza di diritto privato possono chiedere un'indennità di 600 euro per i mesi di marzo, aprile e maggio; tuttavia, l'accesso al beneficio è limitato ai percettori di redditi medi o bassi[5].
In una situazione di scarsa prospettiva occupazionale, il decreto "rilancio" ha esteso la durata del sussidio di disoccupazione - la c.d NASpI, ovvero Nuova Assicurazione Sociale per l'Impiego - per tutti coloro che hanno terminato di percepirla nei mesi di marzo o aprile.
Per i nuclei familiari economicamente meno abbienti, i quali abbiano percepito redditi nulli o molto contenuti in aprile, e che non accedano ad altri strumenti di sostegno, è stato introdotto un sussidio di due mesi denominato Reddito di emergenza, con requisiti di eleggibilità meno stringenti rispetto al Reddito di cittadinanza: nello specifico, l'accesso a tale strumento è garantito anche ai cittadini stranieri residenti da meno di dieci anni.
L'incertezza derivata dall'emergenza sanitaria, associata a livelli contenuti dell'inflazione, potrà scoraggiare il rinnovo dei contratti collettivi scaduti, che riguardano ormai circa l'80% dei lavoratori coinvolti.
Al fine di favorire la progressiva ripresa dell'attività economica, il Governo ha agevolato il dialogo tra le associazioni dei datori di lavoro e quelle sindacali per la definizione di protocolli condivisi a tutela della salute negli ambienti di lavoro. Inoltre, le imprese si sono impegnate a favorire il ricorso allo smart-working o lavoro agile, per tutte quelle attività che possono essere svolte proficuamente anche a distanza.
Secondo la ricerca di Innovation Team, richiamata in precedenza, lo smart working è destinato a cambiare l'organizzazione del lavoro in modo permanente.
Per il 22,9% sarà utilizzato come modalità principale di lavoro anche dopo l'emergenza, mentre per il 47,5% dei lavoratori interessati sarà utilizzato in modo sistematico pur se parziale[6].
Con specifico riferimento allo smart-working corre l'obbligo di evidenziare che già prima della pandemia si auspicava a questa forma di lavoro agevolato, al fine di meglio conciliare esigenze lavorative ed esigenze familiari, personali e sociali.
Con il cambiamento nella fruizione degli spazi, con il distanziamento sociale, è cambiato anche il modo di spendere e consumare, ed è cambiato il modo di lavorare.
Il virus ha dimostrato che il lavoro agile funziona, che non per tutti i lavori è necessario lo spostamento fisico del lavoratore nelle sedi aziendali e che la retribuzione ben può rimanere la stessa, essendo legata in relazione ad obiettivi e non all'orario.
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[1]Cfr. Occupazione ed economia durante la pandemia di coronavirus, in https://ec.europa.eu/info/live-work-travel-eu/health/coronavirus-response/jobs-and-economy-during-coronavirus-pandemic_it
[2]Reperibile su www.istat.it
[3]Il Fondo di integrazione salariale, introdotto nel 2015, è uno strumento di integrazione salariale molto simile alla CIG che si applica alle imprese con almeno cinque dipendenti operanti in settori non coperti dagli strumenti ordinari.
[4]Fa eccezione a tale regola il settore del turismo, delle fiere e degli spettacoli, il quale potrà invece usufruire del periodo di 18 settimane in maniera continuativa.
[5]In particolare, il decreto interministeriale del 28 marzo 2020 ha previsto che possono richiedere il sussidio: a) i lavoratori che nel 2018 hanno percepito un reddito non superiore a € 35.000 e la cui attività è stata limitata dai provvedimenti restrittivi emanati per contenere l'epidemia di Covid-19; b) i lavoratori che nel 2018 hanno percepito un reddito complessivo tra i € 35.000 e i € 50.000 e che, a causa dell'emergenza sanitaria, hanno subito nel primo trimestre del 2020 una riduzione del reddito rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente pari ad almeno il 33%.
[6]https://know.cerved.com/news/per-1-famiglia-su-5-impatto-molto-negativo-del-covid-19/