ABUSO D'UFFICIO: UNA STORIA INFINITA

01.02.2023

Dott. Giuseppe Rignanese

L'abuso d'ufficio da parte del funzionario pubblico è stato, ab origine, considerato quale forma di prevaricazione del potere esecutivo contro le nascenti libertà individuali e gli interessi dei cittadini.

Nella storia del Diritto Penale rintracciamo tale figura delittuosa sin dal Codice napoleonico del 1810, passando per il "Codice per lo regno delle due Sicilie" del 1819 fino a giungere al Codice Zanardelli del 1889.[1]

Nei codici ottocenteschi l'abuso d'ufficio si caratterizzava per essere inteso come un abuso di autorità, quindi un'angheria del potere pubblico verso i diritti civili dei consociati e poneva come presupposto della fattispecie un atto arbitrario quale condotta dell'agire del pubblico ufficiale.

Successivamente la fattispecie incriminatrice di inizio 900 rubricata all'art. 323 c.p. mantenne la natura giuridica di reato generico, sussidiario e per questo comunemente detto innominato, confermandone la sua funzione di norma di chiusura.

Il primo intervento riformistico si ebbe con la legge n. 86 del 26 aprile del 1990[2].

Il testo dell'art. 323 riformato distingueva due ipotesi differenti di condotta che vennero contemplate in commi differenti e costituenti fattispecie delittuose autonome. Da un lato si sanzionava in maniera lieve l'abuso favoristico con finalità di vantaggio non patrimoniale e dall'altro era sanzionato in maniera più pesante l'abuso affaristico, cioè quello che procurava un vantaggio patrimoniale.

Il legislatore riformulò ulteriormente l'art. 323 c.p. con l'approvazione della l. 16 luglio 1997 n. 234, spinto dall'esigenza di una migliore descrizione della condotta tipica al fine di delimitare l'area del penalmente rilevante.

L'obiettivo del legislatore era quello di tipizzare maggiormente il reato in esame, così come sostenuto dall'allora commissione Morbidelli che si occupò del progetto di riforma[3]. Numerose furono le modifiche apportate nella novella del 97 come l'introduzione del dolo intenzionale e la trasformazione in reato di evento, non più inteso come reato di mera condotta.

Per limitare il controllo del giudice penale sull'attività dei pubblici amministratori il legislatore del 1997 inserì una più definita descrizione del fatto costituente reato, eliminando le generiche locuzioni e introducendo la violazione di norme di legge o di regolamento come prima condotta tipica. La voluntas del legislatore, in teoria ma non nella pratica, fu quella di dare certezza della regola violata. Per la prima volta vennero introdotte anche le norme di regolamento concorrenti nella descrizione del fatto tipico, tradendo in qualche modo il principio della riserva di legge tendenzialmente assoluta in materia penale. La dottrina del Fiandaca[4] suggerì di intendere come regolamenti violati sia quelli emanati secondo la legge n.400 del 23 agosto 1988, ovvero i regolamenti governativi, ministeriali ed interministeriali, sia gli atti amministrativi a carattere generale emanati da organi a cui la legge conceda tal potere.

Di grande importanza fu anche l'intervento delle Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione che, con sentenza 29 settembre 2011, n. 155 sancirono la rilevanza penale di tutte quelle condotte di distorsione del potere pubblico dalla loro finalità pubblicistica, ovvero violazioni delle norme attributive del potere[5].

Apparve chiaro che l'intento del legislatore di circoscrivere il perimetro di applicazione della norma incriminatrice fallì, in quanto la prima condotta tipica poteva essere configurata in innumerevoli casistiche. Di certo questo aspetto portò così alla luce grandi tensioni e i primi timori dei pubblici amministratori verso questa norma con un perimetro operativo davvero vasto, definita da alcuni quasi come un grande contenitore. Ciò detto, il reato di abuso d'ufficio è stato anche definito come un "reato civetta", in grado di concedere l'utilizzo di mezzi di indagine fortemente penetranti, quasi fosse utilizzato come una grande rete per la pesca, con l'unico obiettivo di portare a galla quanto più possibile.[6]

Importante fu anche il concetto di doppia ingiustizia affermatosi ovvero laddove fosse contra ius tanto la condotta, ovvero quella dell'agente in violazione di legge o di regolamento, quanto il vantaggio patrimoniale e il danno causato.

Quanto alla seconda condotta tipica, ovvero l'obbligo di astensione in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto, negli anni non ha subito alcuna modificazione, tanto da rimanere intatta nell'attuale disciplina dell'art. 323 c.p.

In materia di abuso d'ufficio è opportuno parlare di stagioni di riforma, visti i numerosi interventi del legislatore mosso spesso dai desideri delle correnti politiche.

L'ultima stagione normativa è avvenuta grazie al d.l n. 76/2020, c.d. decreto semplificazioni, poi convertito in legge n. 120/2020. La recente riforma dell'abuso d'ufficio è stata sicuramente figlia dell'emergenza pandemica, dunque il legislatore è intervenuto per far fronte dell'emergenza sanitaria attraverso lo strumento della semplificazione amministrativa.

È necessario soffermasi brevemente sul perché della riforma[7]; ufficialmente l'azione del legislatore è stata orientata al fine di attuare una sorta di sburocratizzazione volta a velocizzare l'operato della macchina amministrativa nell'interesse delle imprese, fortemente provate dal periodo emergenziale. Così facendo si è cercato anche di ridurre al minimo la sfera di controllo del giudice penale sugli atti della pubblica amministrazione. In realtà la voluntas è stata quella di ricostruire una fiducia lacerata nei confronti del pubblico funzionario e creare una condizione di serenità nel suo operato, in modo da rendere efficiente l'amministrazione.

Il problema, infatti, cui si cerca di far fronte è la c.d. paura della firma[8] ovvero il fenomeno dell'amministrazione difensiva messo in atto dai pubblici dipendenti per il timore dell'instaurazione di un procedimento penale, che di contro però genera la paralisi dell'azione amministrativa. La riforma in tal senso si è concentrata principalmente sulla riscrittura della prima condotta tipica restringendo il suo campo d'azione notevolmente, tanto che ad oggi viene punito il funzionario pubblico che agisce in violazione di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità. Con questa novella sono stati esclusi dalla condotta tipica i regolamenti, dunque vi è il ritorno a quella riserva di legge tendenzialmente assoluta. Ma il punto più delicato è senza ombra di dubbio l'individuazione di regole dalle quali non residuino margini di discrezionalità[9]. Proprio al fine di limitare il controllo penale sull'esercizio del potere pubblico, la novella del 2020 è intervenuta espungendo dal penalmente rilevante l'uso del potere discrezionale, di conseguenza la fattispecie si limita a punire la violazione di condotte derivanti da potere vincolato. Va ribadito che Tale potere discrezionale non indica libertà assoluta di azione, bensì deve intendersi come la scelta effettuata dall'amministrazione all'esito di un giudizio di comparazione tra tutti gli interessi in gioco, sempre nel rispetto di quel fitto reticolo normativo composto dai principi dell'agire pubblico.

Appare chiaro che il legislatore abbia operato una parziale abolitio criminis[10], creando una sorta di scudo verso gli amministratori pubblici che agiscano in virtù di potere discrezionale.

La stessa Corte di Cassazione Sez. VI con sent., 9 dicembre 2020 n. 442,[11] ha affermato che la condotta posta in essere dal Pubblico Ufficiale o dall'incaricato di pubblico servizio in violazione di norme attributive di un potere discrezionale non è più prevista dalla legge come reato.

In tutto ciò la seconda condotta tipica è rimasta completamente immutata creando non pochi problemi, quasi un vero conflitto con la prima, in virtù del fatto che l'obbligo di astensione opera in presenza di potere discrezionale.

Nonostante il significativo intervento del legislatore del 2020 al fine di salvaguardare la dignità dei pubblici funzionari considerati spesso borderline, la disciplina dell'abuso d'ufficio pare apprestarsi ad una nuova riscrittura o addirittura ad una sua abrogazione totale. Dare sicurezze agli amministratori pubblici, non può concretizzarsi in estremo nel far passare la norma come una mera annotazione codicistica inosservata da tutti, infatti verrebbe meno la funzione preventiva e di deterrenza che ha la pena.

Sarebbe saggio allora abbandonare un fronte così caldo, abrogando l'abuso d'ufficio? La risposta appare scontata soprattutto in considerazione dei molteplici rischi connessi all'attuazione del PNRR, come evidenziato recentemente da esponenti della magistratura .

Sarebbe opportuno, come spesso accade per altre questioni di diritto, rifarsi ad altri ordinamenti europei e valutare efficienti prospettive di riforma, in questa storia infinita chiamata abuso d'ufficio.

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[1] A. Castaldo, M. Naddeo (A cura di), la riforma dell'abuso d'ufficio, Giappichelli, Torino, 2021,p. 5.

[2] A. Merlo, l'abuso d'ufficio tra legge e giudice, Giappichelli, Torino, 2019, p. 6.

[3] A. Merlo, l'abuso, cit., p. 110

[4] G.Fiandaca, E.Musco, Diritto penale. Parte speciale., vol.I, Zanichelli, Bologna, 2005, p.218.

[5] A. Castaldo, M. Naddeo, la riforma dell'abuso d'ufficio, cit. p. 41.

[6] M. LAUDI, ne Il Sole 24 ore, del 12 ottobre 1996, 23.

[7] A. Castaldo, M. Naddeo, la riforma dell'abuso d'ufficio, cit. p. 1.

[8] M.P. Giusino, In memoria dell'abuso d'ufficio, in Sistema Penale, vol. 7-8, 2021, p. 72.

[9] N.Pisani, La riforma dell'abuso d'ufficio nell'era della semplificazione, in Dir.pen.proc .,1/2021, p.5.

[10] C.Pagella, La cassazione sull'abolitio criminis parziale dell''abuso d'ufficio ad opera del decreto semplificazioni, in Sistema Penale 19 maggio 2021, <www.sistemapenale.it>

[11] A. Merlo, Lo scudo di cristallo: la riforma dell'abuso d'ufficio e la riemergente tentazione "neutralizzatrice" della giurisprudenza, in Sistema Penale, 1 marzo 2021, <www.sistemapenale.it>. Sullo stesso punto T.Padovani, Vita morte e miracoli dell'abuso d'ufficio, in Giur. Pen., 7-8, 2020